di Luciano Pignataro*
La pizza paga i suoi debiti con la città che l’ha creata e coccolata in silenzio per oltre due secoli rilanciando immagini spettacolari e impensabili sino a qualche anno fa. Pensiamo al lungomare del Pizza Village ripreso dall’alto, una foto ormai iconica di Napoli nel mondo. Pensiamo la Teatro di Corte a Palazzo Reale pieno zeppo di pizzaioli, i primi cento del mondo secondo la nostra guida on line 50 Top Pizza. Sono venuti da 21 paesi, qualcuno ha fatto anche 18 ore d’aereo, da Melbourne a Buenos Aires, da San Francisco a Londra, Parigi, Madrid, Dublino, Tokyo, Bangkok e chi più ne ha più ne metta, a testimonianza che ormai il mondo della pizza da locale è diventato globale, fatto di storie di riscatto, di passione, di tradizioni diverse ma tutte, sempre, con il baricentro puntato su Napoli (un dettaglio ignorato da Netflix, vabbè ma loro parlano anche di cannolo veneto!).
Lo spettacolo dello scalone, percorso dei secoli con regale postura dai Borbone e dalla loro magnifica corte, è stato fantastico quando si è riempito di cento pizzaioli con la giacca.
Ma come si è arrivati a questa serata? Il cammino è stato lungo, precisamente è partito a Milano all’inizio di maggio al Teatro San Babila, a giugno è stata la volta di New York al Pasta Bar La Devozione di Giuseppe Di Martino. Terza tappa a luglio al Mercadante di Napoli, quarta a Bangkok per l’Asia Pacifico. A questa si è aggiunta una selezione in Sud America e in Africa. Ne è uscita fuori dunque una selezione di 40 italiani, 25 europei, 15 Usa, 15 Asia Pacifico, 4 Sud America e una in Africa, precisamente la pizzeria affiliata all’Avpn del Cairo. A Palazzo Reale erano presenti 99 su cento, un successo incredibile considerate le ore d’aereo impiegate da qualcuno che ha fatto anche 18mila chilometri.
Il sistema di selezione è ormai noto: si parte in ciascuna area con un sondaggio tra gli ispettori, nessuno dei quali ha rapporti commerciali con questo mondo né diretti e né indiretti. Si prosegue con le visite realizzate in anonimato certificate dalle foto e dallo scontrino pagato. Si forma così la classifica che varia ovviamente di anno in anno perché il mondo della pizza è assolutamente dinamico e veloce.
In un panorama complesso, questa formula, il ritorno ad una critica anonima fatta da persone che non prendono soldi dalle pizzerie, la netta demarcazione fra giudicanti e giudicati torna ad essere una delle pre-condizioni di una critica sana e scevra da ogni illazione, cosa alla quale il piccolo mondo gastronomico italiano non sembrava essere più abituato essendo spesso immerso in uno scambio di favori, partecipazioni congressuali, sponsor che arrivano a volte ad entrare nel merito delle scelte redazionali.
Ma c’è anche un altro elemento per cui questa guida è poco digerita dal vetusto e stanco mainstream gastronomico italiano: è la prima guida che parte dal Sud e che, senza campanilisti, giudica l’Italia e l’Estero come nessun altro sembra in grado di fare in quanto le guide tradizionali che hanno fatto la storia negli anni ’90, appaiono appesantite dal cartaceo e da vecchie ritualità. Per la prima volta non sono solo critici legati a interessi delle aziende del Nord a giudicare i nostri vini e i nostri ristoranti, per la pizza poi sarebbe stato impensabile. E che non sia complottismo post borbonico lo si vede dal diverso trattamento riservato al Sud dalle guide tradizionali italiane rispetto, per esempio, alla Michelin che fa della Campania la seconda regione più stellata d’Italia e la provincia di Napoli la prima, al top europeo quasi per concentrazione, dopo Parigi.
L’Italia è bella perché ogni regione ha tutto e tanto di buono. E noi orgogliosi di essere italiani, così la raccontiamo tutta, in pari dignità.
*Pubblicato sul Mattino sabato 10 settembre
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