Antonino Siniscalchi
«Il Fior di latte fa parte della nostra cultura, nasce in Campania, in particolare sui Monti Lattari». Vincenzo Peretti, docente di Zootecnia generale e miglioramento genetico all’Università di Napoli Federico II, attento cultore della evoluzione della produzione dei formaggi tipici come il provolone del monaco e non solo, riassume in una considerazione storica e sociale l’ingrediente tipico riscoperto sulla pizza e non solo. Il fior di latte ha origini antiche tra Agerola e il territorio alle falde del Faito alla Penisola sorrentina. Le origini storiche ad Agerola risalgono all’epoca pre-romana; nota già ai tempi di Galeno per la produzione di “latte molto salutare”. «Non a caso – osserva Vincenzo Peretti – la zona di produzione si identifica con i Monti Lattari. Il fior di latte ha origini di queste zone, poi la produzione è stata localizzata anche in Abruzzo e in Puglia, ma la lavorazione di Agerola e dei comuni della Penisola sorrentina conserva precise caratteristiche tradizionali, con lievi differenze tra quella prodotta nelle aree montane e quella in prossimità del mare». La produzione resiste nel tempo, ma il latte scarseggia ed i caseari devono rifornirsi in Germania o in altre regioni d’Italia.
Dai Monti Lattari alla Penisola sorrentina, da Agerola a Punta Campanella, passando per i borghi collinari di Vico Equense, dalle falde del Monte Faito a Montechiaro, Moiano, Massaquano, l’evoluzione di un prodotto identitario consolida una antica tradizione localizzata anche nei borghi di Massa Lubrense, Schiazzano, Monticchio, Termini e Sant’Agata sui due Golfi. C’è una sola variante che lo caratterizza sotto il profilo geografico, fior di latte di Agerola e dintorni o treccia sorrentina, ma nel tempo anche quella identità produttiva sembra sfumare. Basta girarsi intorno per trovare sulle tavole dei ristoranti sorrentini una treccia made Lettere, Casola o Pimonte. Intorno al settore lattiero caseario, indipendentemente dalle produzioni soggette alla stagionatura come il provolone del monaco o il caciocavallo, fior di latte e treccia rappresentano la produzione quotidiana più fiorente. Nel corso degli anni si è registrata una vera e propria riscoperta del fior di latte in contrapposizione alla mozzarella di bufala per la pizza, con tantissimi pizzaioli di Napoli e non solo che privilegiano il fior di latte e la provola affumicata. «Questa evoluzione – aggiunge il professore Vincenzo Peretti – trova una sua motivazione nel fatto che il fior di latte, per le caratteristiche di lavorazione, rilascia poco liquido residuo, è più compatto, con meno “latticello”, conseguentemente risulta più adatto per guarnire la pizza».
Il Fior di latte di Agerola è il prodotto più conosciuto dei Monti Lattari. Nomen omen: Lattari perché qui si è sempre prodotto latte. Di capra, di pecora e, sul versante sorrentino, anche di vacca. È uno dei latticini più pregiati, ottenuto in origine dalla razza bovina Agerolose, selezionata nel 1845 dal generale Avitabile. Ancora un segno della grande attenzione che i Borbone hanno sempre avuto per agricoltura e zootecnia.
Si tratta di un formaggio fresco a pasta filata ottenuto da latte intero vaccino crudo. Può essere preparato in varie forme, da quella tonda, al nodino, alla treccia a seconda della tradizione del caseificio. Il sapore è quello del latte, leggermente acidulo, e si sposa alla perfezione con i pomodori. Nel corso dei secoli questa specializzazione della Penisola Sorrentina ha goduto come mercato naturale la città di Napoli conquistando subito una buona reputazione. Molto prima ancora della mozzarella di bufala, è proprio il Fior di latte di Agerola il grande protagonista della pizza margherita per tutto il ‘900 e adesso la moda per fortuna sta tornando perché molti appassionati lo richiedono grazie ad una produzione che si è notevolmente riqualificata nel corso degli anni dopo un periodo non fortunato in cui il mercato fu invaso dalla produzione tedesca. Fu per questo che i padri fondatori della Stg decisero di inserire anche la mozzarella di bufala oltre trent’anni fa.
Ma negli ultimi anni le cose sono davvero cambiate molto e il Fior di latte è tornato ad essere tra i prodotti preferiti dei grandi maestri napoletani della pizza, rispolverando il fior di latte e la provola fresca affumicata di Agerola e di Vico Equense. I due elementi che caratterizzano il Fior di latte sono l’uso di latte crudo e il processo di acidificazione che avviene in modo naturale e dura circa 12 ore.
Uno dei formaggi più rinomati al mondo, prodotto in Penisola sorrentina è la mozzarella di Sorrento a forma di Treccia: un formaggio di latte di vacca dalla caratteristica forma a due strisce intrecciate fra loro, che gli viene data manualmente. Il formaggio è a pasta filata e può essere anche affumicato o farcito. La produzione della Treccia di Sorrento è diffusa in tutta la regione e, come per tutti i formaggi a pasta filata, anche in questo caso occorre esperienza da parte del casaro nello stabilire il momento più adatto per l’inizio della filatura, che rappresenta senza dubbio la fase tipica e tradizionale del processo di lavorazione. La treccia è la protagonista assoluta di qualsiasi buffet. La sua forma tipica intrecciata, rende questa mozzarella non solo appetibile, ma anche bella da vedere. Che sia un evento elegante, un’occasione da ricordare o un pranzo informale, la mozzarella treccia non può assolutamente mancare al centro di una tavolata, adagiata su un letto di lattuga e servita come aperitivo nel vostro ristorante o nella vostra pizzeria. Anche la lavorazione della treccia inizia dalla selezione del latte migliore, che viene controllato in tutte le sue proprietà organolettiche, dai grassi all’acidità, al contenuto di proteine e di lattosio. Il latte viene portato alla temperatura di 36 gradi, per poi aggiungere il caglio. Lasciato riposare, il latte comincia a solidificarsi. La fase successiva è l’aspirazione del siero che appare in superficie. Con l’esperienza e l’occhio attento del mastro casaro si comincia l’effettiva lavorazione della treccia
dopo che la pasta è pronta per essere filata e lavorata, si aggiunge acqua calda a 98 gradi. In questa fase la pasta si amalgama ed è pronta per essere lavorata nella tipica forma a treccia, attraverso la mozzatura di due strisce.