Un vino che parla del mondo
di Oreste Mottola
Quando lo sviluppo corre sulle strade antiche del vino, dei fichi e dell’olio d’oliva. “Come facìano l’antici”, il più internazionale dei cilentani, Bruno De Conciliis, ti racconta così come funziona una delle nuove frontiere non solo del vino, ma anche dello sviluppo ecocompatibile, che lui a Prignano Cilento, ogni giorno, contribuisce concretamente a realizzare. Una delle ultime novità di casa De Conciliis è l’“Antece”, come il monumento che è la Tiscali dei sardi, il simbolo ancestrale d’identità territoriale, appostato lassù sui monti Alburni, a S. Angelo a Fasanella. Antece è la nuova etichetta che ha voluto per la sua bottiglia fatta con la tecnica più antica. “Con l’Antece, che vuol dire antico”, dice Bruno De Conciliis, “abbiamo voluto stabilire un legame strettissimo col territorio con un Fiano vinificato, un rosso senza il contatto con le bucce. Proprio come facevano gli antichi”. Come la mozzarella di Vannulo spopola perchè poco più di dieci anni fa cominciarono a farla come quella di una volta, senza le sofisticazioni, oggi De Conciliis ha i “tre bicchieri” del Gambero Rossoe i “cinque grappoli” dell’Ais perchè per le sue bottiglie più celebrate vengono da uve provenienti da vigneti di oltre un quarto di secolo.
NELLA BOTTIGLIA.Ed anche perchè in una bottiglia i De Conciliis infilano di tutto: qualità, storia, fatica, sentimenti. E dietro c’è una squadra vincente, come alla Ferrari di Montezemolo. Si sono anche dedicati una maglietta, con tutti i nomi di coloro che hanno partecipato alla vendemmia 2003. De Conciliis non è solo vino, ma è olio di rara delicatezza, miele, un allevamento di galline da trentamila uova. In un altro casale si “sistemano” i fichi secchi, un altro prodotto “identitario” di un microcosmo che pur stando a soli otto chilometri dalle ansie del turismo di massa di Agropoli sembra appartenere al mondo del romanticismo rurale, con tanti animali e gente che lavora la terra in allegria. “Io sono il maestro nella vigna, nei campi, ma nella cantina è tutta la competenza di mio figlio Bruno ad esprimersi”, confessa Alessandro De Conciliis, padre di Bruno, classe 1925, il motore dell’azienda la famiglia che ha trasformato l’economia agricola di Prignano. “Per fare il buon vino bisogna partire dalla campagna”, continua a ripetere. “Quello è lo ziro, è di terracotta, come si usava una volta”, dice quando sente chiamare “botte” dal conduttore televisivo di turno il grosso recipiente che è in realtà una giara. De Conciliis, lo hanno stabilito autorevoli giurie, è una tra le prime aziende italiane per la qualità del vino. “Viene fuori un buon vino se si ha una cultura del buon vigneto. Se si ha una resa bassa della quantità prodotta. Noi potremmo produrre un chilo per pianta, alla fine non raccogliamo mai più di 70 quintali per ettaro dove ci sono 5 mila piante. Tutto quello che non è stato raccolto è un tributo alla qualità. Lo stesso vale per le tecniche di coltivazione: usiamo, come cinquant’anni fa, solfato di rame e zolfo, niente antiparassitari. Gli interventi – racconta il patriarca dei De Conciliis – poi si fanno al punto giusto perchè le uve in cantina devono arrivare sane. Il ‘forte’ è nella trasformazione”.
LA BELLA GIOVENTU’
Bruno De Conciliis da giovane è stato un militante della nuova sinistra, ha studiato al Dams di Bologna, nel 1980 è stato volontario nei paesi più terremotati e da qui è partito per fare il pioniere dell’agricoltura biologica nel Cilento. “La differenza è tutta nella dedizione che il contadino ci mette nel seguire tutte le fasi della lavorazione. L’importante è che si comporti sempre come il buon padre di famiglia”. Sul successo della “griffe” è molto understatement: “Siamo stati molto fortunati. Abbiamo imbroccato il momento giusto. C’era una grande attenzione per il nostro territorio cilentano e chi esprimeva un’attenzione esasperata per la qualità ha potuto capitalizzarla. Il Parco del Cilento, ma anche una nuova classe dirigente che è in azione, ha aiutato una crescita spettacolare di queste nuove produzioni. Il lavoro degli operatori che fanno qualità ha trovato un terreno fertile. Si sono innescate sinergie che solo dieci anni fa sarebbero state impensabili”. Adesso cosa producete? “Essenzialmente Fiano ed Aglianico, con quattro vini di base, più una serie di esperimenti sia nella vinificazione con delle uve tardive e con appassimento”. L’impegno di Bruno De Conciliis guarda lontano: “Abbiamo cominciato il lavoro che dovremo svolgere nei prossimi vent’anni: individuare i cru, i terreni dove impiantare i vigneti più promettenti”. La qualità è allora nemica della quantità? “Noi oggi produciamo vino a partire da una base dai 25 ai 28 ettari. Buona parte è in proprietà, una parte è in affitto. Un po’ d’uva l’acquistiamo dall’esterno, da altri contadini. In questo ultimo caso andiamo a fornire il know how per la coltivazione così che alla fine viene fuori un prodotto straordinario. Alla fine noi produciamo meno di 200 mila bottiglie, significa che lavoriamo non più di 70 quintali d’uva ad ettaro quando il disciplinare della dop ci farebbe arrivare anche a 120 quintali per ettaro. Soprattutto sugli impianti più vecchi: quelli che hanno più di 25 anni di età dai quali ricaviamo cru come Naima, Perella e Antece, in questo caso si scende a rese di 30 max 40 quintali d’uva per ettaro, è non più di un chilo d’uva per pianta. Questa è la “conditio” per produrre uva di qualità in tutto il mondo. Sabato Vecchio, 51 ani, ragioniere, è il sindaco della terra che due milleni fa appartenne al patrizio romano Prinius: “La nostra missione, il nostro lavoro quotidiano è quello di far conoscere i territori, valorizzare i prodotti, promuovere le nostre aziende che lavorano il tipico. E’ il sistema della qualità che va sviluppato. Abbiamo già un punto d’eccellenza: il vino, dobbiamo aggiungerci il nostro fico bianco”. L’assessore provinciale ai lavori pubblici Franco Alfieri si rivolge direttamente ai prignanesi: “Avete sindaco capace di spingere i privati. Prima succedeva il contrario”. Dalla comunità montana arriva Angelo Vassallo: “Da Prignano può partire una nuova strategia per promuovere la nostra agricoltura, convincere i giovani a restare e dedicarvi le loro energie, e sconfiggere così la disoccupazione. Ci hanno già definito la più bella delle comunità montane italiane”. Amato. Ma Prignano non è solo De Conciliis. Molto importante è l’attività della “Cilento Carni” , specializzata nella carne bianca, import ed export, quasi venti dipendenti. C’è poi la “Daniele Visco”, specializzata negli impianti di illuminazione pubblici e privati, con quasi 40 dipendenti. Dulcis in fundo Rosanna Cataneo, ha un impianto per la lavorazione di fico bianco del Cilento. Storie di un Cilento lontano dai tempi de “na vranga re fico e no tuozzo re pane” che cerca di mantenere quella “Tiscali dell’anima” che è dentro i canti che offrono le ragazzine e gli anziani del gruppo de “I figli del Cilento” una domenica mattina nella piazza principale di Prignano.
Scheda sul fico bianco cilentano
Non ci sono più i fichi secchi del Cilento, una volta simbolo e sapore delle assolate e povere estati cilentane. Ricoperti di cioccolato o mandorle, sciroppati, o consumati freschi, sono diventati un sofisticato dolce da pasto. Al “fico bianco del Cilento” è stata appena riconosciuta la dop, la denominazione di origine protetta. Con la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale, i fichi essiccati, con buccia o senza, prodotti in quasi tutti i comuni comuni cilentani, potranno fregiarsi di un marchio comune. A seguire ci sarà un disciplinare di produzione ed il consorzio di tutela e promozione. Oggi se ne producono dagli 80mila ai 100mila quintali. Il frutto, che ha un sapore dolciastro, si distingue per qualità, sapore ed alto valore nutritivo. Si consuma fresco durante la cosiddetta “stagione” (estate- autunno). E’ uno straordinario “spegni – fame”. E’ raccolto ed essiccato, con le stesse antiche tecniche dei Greci, farcito poi con le mandorle, o ricoperto al cioccolato, diventa frutta secca e dolce da pasto. Sul mercato si sono già affermati i Fornellini, i deliziosi fichi di una delle località di Montecorice, raccolti, concentrati ed impacchettati, da una piccola azienda cilentana. Sono soprattutto i tanti emigranti partiti dal Cilento a consumarli: per risentire gli odori della terra d’origine. Verrà proprio dall’apertura di nuovi mercati di sbocco, come dal successo crescente dell’agriturismo cilentano, l’incentivo ad impiantare nuove coltivazioni di fico bianco. Fatta la legge, accettata e fatta propria anche dall’Unione Europea, ora dovranno essere i cilentani a fare il resto. Non come è avvenuto per l’olio d’oliva, dove la dop “Cilento” è ancora un nome e nulla più .
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