Gli Irpini, come si sa, è gente rude. Appena nascono i nonni e gli zii fanno a gara a chi deve intingere il ciuccio del neonato nel bicchiere di vino, o gli deve cacciare in bocca il fagiolo prelevato dalla calorica pasta e fagioli con le cotiche preparata per gli adulti, perché, ” ‘o criatur’ addà fa sang’ ” (il bambino deve fare sangue)!!! Quindi, si persevera lungo questa linea anche dopo lo svezzamento e quando si diventa adulti, il vino si mette dappertutto, anche …nella pasta . Classica è “‘a pastina co’ vino “, che si usa preparare quando si è raffreddati o influenzati, nella atavica ferma convinzione che ” il brodo di_vino” nel quale si cuoce la pastina sia un efficace antitodo per ” spilare”(sturare) le vie respiratorie. Altro connubio tra pasta e vino è la pasta fresca, come dicono gli anglofoni, handmade, cioè fatta a mano. La nostra pasta fresca più rappresentativa è lo zuzzero (vedi qui).
L’unica variante al procedimento classico per fare questa pasta di oggi , è l’uso del vino al posto dell’acqua nell’impasto. Da abbinare agli zuzzeri al Taurasi, preparati all’ insegna del “famoli strani”, abbiamo pensato, non solo per una motivazione cromatica, ma anche per l’equilibrio delle sensazioni organolettiche, al più classico dei condimenti campani : la genovese. E qui è necessario puntualizzare bene procedimento e materia prima.
Partiamo dall’ingrediente principe, la cipolla. Per una meravigliosa genovese non ci può essere altra cipolla che la “Ramata di Montoro”. La dolcezza al gusto, l’intensità olfattiva aromatica, la concentrazione di estratto secco, la tenuta della cottura, sono le caratteristiche che la ergono una spanna al di sopra delle altre varietà , soprattutto in questa preparazione. La pezzatura preferibile è quella grande, più “matura” e quindi più concentrata in aromi, più o meno intorno ai 300/500 gr a pezzo.
Passiamo al pezzo di carne : il taglio è importante , ma quello che è più importante è la provenienza del taglio.
Chi ha la fortuna (io ce l’ho), di disporre di “carne paesana” cioè di vitelli da allevamento tradizionale e non intensivo, fa bingo, in quanto il sapore e la consistenza sono completamente diversi!!! Il girello (lacierto), lo scamone o il gammoncello( mammunciello o favz’ laciert’), sono i tagli maggiormente usati.
Qualcuno usa anche la coperta di costata. Se volete fare una genovese “light”, usate lo scamone o il girello, se invece volete una genovese consistente, “azzeccosa”, densa e che si “aggranfa”(abbarbica) alla pasta, allora in pentola ci va il gammoncello o al massimo la coperta di costata, ambedue ricchi di collagene proveniente
dai tanti nervetti in essi presenti. Per quanto riguarda le spezie, in Irpinia si usa aggiungere, a metà cottura, del pepe nero a grani e qualche fogliolina di alloro.
Ingredienti per quattro persone:
kg 2 di cipolla Ramata di Montoro
kg 1 di carne di vitello (gammoncello)
1 carota, 1 costa di sedano, 3 foglioline di alloro, mezzo bicchiere d’olio
1 cucchiaio di sugna
Preparazione:
Incominciamo a pulire le cipolle asportando solo la prima sfoglia, quella color rame, e poi affettiamole sottilissime, magari con l’aiuto della “mandolina”, se vogliamo renderle più digeribili, teniamole in acqua per un quarto d’ora e poi le scoliamo accuratamente. In un “tiano” (pentola larga e bassa, meglio se di coccio), versiamo l’olio che facciamo scaldare a fuoco vivo subito dopo aggiungiamo la sugna, un pò di cipolla, la carota tagliata a rondelline ed il sedano. Facciamo andare un attimo ed aggiungiamo il pezzo di carne rosolandolo da tutti i lati. Appena sigillato, aggiungiamo le cipolle ed un bicchiere di vino rosso e copriamo. Ora c’è solo da girare ed aspettare, almeno un paio d’ore.
Abbinamento cibo-vino:
Se fosse una genovese normale, ci metteremmo due secondi ad abbinare un vino giusto, ma in questo caso è particolarmente difficile per la presenza del vino nell’impasto: sicuramente la preparazione è strutturata, complessa, anche per la lunga cottura , ma in ogni caso prevale su tutto una tendenza dolce particolarmente caratterizzante che in parte è attenuata già, proprio dal vino, per questo penso che il restante lavoro di contrasto lo possa egregiamente svolgere un aglianico giovane che possieda una bella freschezza e nel contempo poca tannicità (cosa notoriamente molto difficile da trovare contestualmente in un aglianico di Taurasi). Ne ho provati quattro, tra cui un campione “sperso” del nuovo clone di Aglianico Lasco, esperimento del prof. Giancarlo Moschetti insieme a Sandro Lonardo. Quest’ ultimo è risultato perfetto in abbinamento.
Lello Tornatore – Tenuta Montelaura
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