La ricetta: genovese di pesce bandiera secondo Lello Tornatore

Pubblicato in: i primi, Le ricette

Questa volta sono proprio sicuro : è pesce bandiera e lo cucino alla genovese…

” Lepidopus Caudatus “, è il nome scientifico di questo pesce comunemente conosciuto in Campania come pesce bandiera o squagliasòla , e non sto qui a dirvi in quanti altri modi nelle altre regioni. Dalla forma piatta e allungata, possiede dei denti acuminati e taglienti anche da morto, il mio pollice ne sa qualcosa. Appartiene alla tipologia del pesce azzurro e pertanto ricco di grassi insaturi, in particolare i famosi omega 3, ottimi per lo sviluppo cerebrale ( sono stato praticamente svezzato a pesce bandiera :-))), e protettore delle arterie e del cuore. Vive in fondali profondi e fangosi e quindi è particolarmente predisposto a contenere nelle sue viscere il famigerato parassita dannosissimo per l’uomo, l’anisakis, quindi non preparatelo marinato, ma esclusivamente cotto.

E visto che, quando si tratta di pesce lo chef Pappalardo (la Flavia), da non confondersi con il bravissimo Raffaele del Quod Libet, alza le mani in tono di sottomissione riconoscendo la propria inferiorità professionale rispetto al quotatissimo sottoscritto (scusate l’immodestia), ormai esperto ittiologo di fama intercomunale ( tra Forino e Contrada), mi ritrovo tra capo e collo la grande responsabilità di decidere la preparazione da realizzare. La prima idea che mi viene è la parmigiana di pesce bandiera, ma ricordandomi che è un must del grande Gennarino Esposito, per non rischiare denunce per danni all’immagine, viro decisamente sulla genovese, che manco è un’idea mia, ma rubata in una recente conversazione enogastronomica con il prof . Giancarlo Moschetti. Tanto non rischio niente, ho pensato tra me e me, Giancarlo fa il professore di Enologia, mica di Ittiologia, e pertanto non può rivendicare primogeniture e competenze in un campo diverso dal suo, dove è già un luminare. Dai spazio, Giancarlo, almeno in altri campi!!! E così mi metto al lavoro, e le lacrime che copiose mi rigano il volto silenzioso, non testimoniano pentimento alcuno per la sofferta scelta : sto affettando le cipolle, what else?

Passato l’effetto-cipolla durante la mezz’oretta per la loro cottura, (anche se ramata mizzeca come fa piangere), adagio in padella dolcemente la testa “della bandiera”, dopo averla privata, per vendicare il pollice, delle diaboliche mandibole portatrici dei famosi denti acuminati, lascio andare a fuoco vivo per dieci minuti ancora alfine di far staccare le parti edibili dalla carcassa e poi aggiungo i tranci di pesce precedentemente lavati con accuratezza.

Altri dieci minuti ed è pronto. Spengo e mi immergo nella scelta della pasta. I paccheri? Naaà! Troppo abusati! Le penne? Naaà! Sanno di menù-bambini! Ecco, lampo di genio, mi faccio prestare le candele dal ragù alla napoletana, ma non ce l’ho in dispensa…Butto tutta la pasta dello scaffale all’aria, mia moglie mi osserva corrucciata, ma non grida (brutto segno, questo), e alla fine trovo un pacco di zitoni che può fare alla bisogna.

Come li taglio? Faccio i soliti segnini con il coltello a sega e poi li spezzo con le mani, così si formano quei pezzettini che tutti siamo soliti goderceli alla fine del piatto.

Acqua già bollente, l’avevo messa su già da un quarto d’ora ( programmazione miei cari, programmazione! ), calo la pasta, sette minuti, cottura millimetrica ( così ho letto nelle recensioni dei grandi gourmet al di sopra del Tevere) e passo ad impiattare gli zitoni, volutamente lasciati un pochino più lunghi del dovuto, così giusto per dare un tocco artistico, in due file sovrapposte e contrapposte (l’ho visto fare…non mi ricordo a chi e dove, ma sicuramente era una persona importante della gastronomia).

Ultimo tocco, la salsina della genovese in trono agli zitoni. Signori in piedi : ecco la genovese di Pesce Bandiera!!!

Abbinamento cibo-vino

Sarei tentato da un Greco di Tufo, magari quello di Angelo Muto di Cantine dell’Angelo, ma ho paura che possa coprire il piatto con la sua sferzante mineralità non supportata da adeguata grassezza, e quindi propendo per la mia coperta di Linus : Fiano di Avellino 2008 Villa Diamante di Antoine Gaita.

P.S. Vi risparmio la foto del pollice, incerottato non per la ferita che era interna, ma per sostenere il dito: qualcuno avrebbe potuto pensare che fosse stato fatto capziosamente per acquisire benevolenza immeritata …;-))

Lello Tornatore – Tenuta Montelaura


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