di Carmelo Corona
La Sicilia è stata tra le prime regioni italiane a consumare la pasta. Anche prima che nell’isola arrivasse il pomodoro, gli ingredienti per condire la pasta non mancavano. Da sempre classico “prodotto di tonnara” (assieme ad es., al lattume, lo sperma rosa del tonno e al mosciame, il filetto di tonno salato ed essiccato) la bottarga di tonno, era uno di questi ingredienti, ed è, ancora oggi, notoriamente apprezzata e ricercata. L’origine del prodotto sembra essere fenicia (e secondo alcuni risalirebbe addirittura agli egizi, probabilmente i primi a conservare le uova di pesce, che però non erano di tonno), ma il termine deriva dall’arabo butārikh, che significa appunto “uova di pesce salate”.
Conosciuta anche come il “caviale del mediterraneo”, la bottarga altro non è che la sacca ovarica del tonno femmina, che viene estratta, senza romperla, subito dopo la pesca. Viene poi lavata per eliminarne le impurità e sottoposta a salatura (ricoperta con sale marino, avendo cura di rivoltarla quotidianamente e di sostituire periodicamente il sale). Le fasi successive prevedono la compressione e l’essiccazione, la paraffinatura ed il confezionamento sottovuoto. Le baffe di uova di un tonno di oltre 100 chili possono raggiungere anche il chilo di peso.
Al momento dell’immissione al consumo la bottarga presenta, in genere, una consistenza soda e compatta, un colore che varia dal rosa chiaro al bruno-mogano, con un forte odore e sapore di mare, molto intenso e persistente. I tonnaroti (pescatori delle tonnare), veri conoscitori di questo pregiato alimento, sono soliti mangiarla con una fetta di pomodoro, che con la sua freschezza ne attenua la forte sapidità.
Tradizionalmente costituiva, in effetti, il pasto dei pescatori che trascorrevano la giornata in mare, ai quali garantiva sostentamento grazie al suo apporto calorico e proteico.
Parte delle uova di tonno, come delle altre interiora del pesce, spettano, per tradizione, di diritto ai tonnaroti (il tonno viene da sempre definito il “maiale del mare”, proprio perché di esso viene utilizzata ogni parte). La bottarga di tonno viene oggi consumata nei modi più disparati. La troviamo come antipasto, fatta a fettine sottili condite con olio d’oliva e limone o sminuzzata e servita con scorza d’arancia su crostino di pane. Grattugiata, insaporisce primi piatti, secondi piatti e insalate. Si sposa bene sia con la cucina veloce (a crudo con olio e prezzemolo come condimento per la pasta o su fette di patate lesse) che con l’alta cucina (si accompagna bene con la salsa di noci o con il pesto di pistacchio). La possiamo trovare con facilità anche sulla pizza. Per una buona conservazione la regola e quella di cospargere di olio la parte tagliata e riporla in frigo avvolta in carta da pane. Su questo prodotto, considerato da alcuni afrodisiaco, esiste una leggenda sulla sua qualità.
Si parla, infatti, di “bottarga di corsa” e “bottarga di ritorno”. La prima si attribuisce a quelle uova prelevate dai tonni che si recano a depositare le uova (di corsa), mentre la seconda si riferisce a quella prelevata dai tonni che hanno già depositato le uova (di ritorno). Quest’ultima è considerata quella meno pregiata perché meno voluminosa e poco compatta. Polvere d’oro che profuma di mare, nettare color ambra omaggio di Nettuno ai buongustai, al primo assaggio o la si ama o la si odia, non ci sono vie di mezzo. Ma non si rimane mai indifferenti. Un po’ come avviene con il caviale (considerato certo un cibo pregiato ma non per questo gradito da tutti). Cibo di poverissime origini, non manca mai sulle tavole isolane imbandite per le grandi occasioni. La bottarga di tonno più pregiata è quella della specie Thunnus Thynnus, il tonno rosso (noto anche come Bluefin, cioè “pinna blu”), la cui quotazione si aggira intorno ai 200 Euro/Kg e che si trova principalmente a Favignana e in qualche azienda conserviera della Sicilia sud-occidentale (Trapani, Mazara del Vallo, Sciacca).
La bottarga più diffusa, in special modo nella grande distribuzione, è quella derivata dalla specie Neothunnus Albacares (il famigerato “pinna gialla”, di cui sono piene le scatolette di foggia varia che troviamo negli scaffali della GDO), la cui quotazione è intorno ai 90 Euro/Kg. Più dell’80% del tonno rosso del Mediterraneo finisce oggi all’altro capo del mondo, cioè in Giappone, e questo ormai da oltre 15 anni (ne vengono tolte solo le uova per la produzione della bottarga, che in Giappone viene chiamata Karasumi e che non è particolarmente apprezzata come da noi). Di converso, la nostra industria conserviera si approvvigiona dei tonni pescati nel pacifico. Mostruose assurdità dell’economia moderna. Oggi più dell’80% del tonno rosso pescato nel mediterraneo finisce dall’altra parte del mondo: in Giappone. In un tempo poi non così lontano, la pesca di questa tipica specie di tonno si identificava con la spettacolare e rituale “mattanza” (dallo spagnolo matàr, uccidere) popolare e storico simbolo della lotta tra Uomo e Natura, che avveniva sempre nei mesi primaverili. La vittoria dell’istinto di sopravvivenza del’uomo sull’istinto di riproduzione del tonno. Assistere ad una “mattanza” è uno spettacolo davvero unico nel suo genere. I colori e i suoni della mattanza sono potenti, ancestrali, indimenticabili.
I canti propiziatori (le cialome) di araba memoria, danno il ritmo all’azione dei tonnaroti che, guidati dal “Rais”, capo indiscusso ed assoluto della singolare battuta di pesca, per tutto il tempo rivestono il ruolo di attori protagonisti di quell’affascinante spettacolo di morte, fatto di grida, di sudore, di sangue e di mare che, nei luoghi delle tonnare, ha sempre rappresentato la sopravvivenza per i pescatori e le loro famiglie. Ne sono testimonianza le molte tonnare rimanenti e che costituiscono dei veri e propri monumenti di archeologia industriale (nell’800 ce n’erano 122 in tutta Italia, concentrate soprattutto in Sicilia, che ne contava ben 79, e in Sardegna, con 21) tra cui segnaliamo, in particolare, quelle di Bonagia e Favignana.
Presso la Tonnara di Bonagia è dal 2004 che non si fa più la mattanza. Oggi è un suggestivo albergo ristorante con annesso museo della tonnara e relativo punto vendita. Nell’isola di Favignana, dove lo stabilimento dei Florio è chiuso da ben 35 anni, l’ultima mattanza risale allo scorso anno, ma ha fruttato molto poco, circa 150 esemplari di piccola pezzatura (max 50 Kg), e si era, in questi anni, quasi ridotta a fenomeno da baraccone per i turisti piuttosto che un’attività di pesca vera e propria. L’Antica Tonnara Florio di Favignana è stata restaurata circa un anno fa, con l’intento di farne una struttura al servizio dell’industria turistica dell’isola. Ma la mattanza di Favignana, ciononostante, è e rimane, un caratteristico baluardo di difesa di una precisa identità marinara. Purtroppo, gli alti costi di impianto e la concorrenza dei pescherecci internazionali l’hanno messa in ginocchio. Le grandi navi da pesca oggi sono in grado di calare tonnare volanti ovunque, senza bisogno di aspettare che i tonni raggiungano, nella loro “corsa” i luoghi caldi del Mediterraneo per riprodursi. Per fortuna, pare che oggi i pescatori di Favignana si siano organizzati in cooperativa, riuscendo a recuperare i diritti di pesca e venduto che dal 1937 non appartenevano più ai “tonnaroti”. Ciò fa ben sperare per il futuro di questa singolare tradizione e per l’importante economia ad essa connessa.
Già nel suo “Rapporto sulle coste siciliane” datato 1968, Leonardo Sciascia denunciava l’esigenza di “…lavorare perché il valore delle tonnare vada recuperato, valorizzato e reso fruibile a livello universale… raccontare delle tonnare ci da l’occasione di poter parlare di mare, di costa e paesaggio, certi che queste tematiche costituiscono il domani della Sicilia e che il suo futuro deve passare sulla memoria e sulla bellezza dei suoi luoghi incontaminati…”. All’inaugurazione della Tonnara Florio dopo la sua ristrutturazione, nel settembre dello scorso anno, l’Assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Gaetano Armao così ha esordito:”… Da qui comincia il percorso che porterà la Sicilia a imporre il suo patrimonio artistico, paesaggistico, naturale, nel mercato globale del nuovo millennio”. Anche se dopo oltre 40 anni, i lodevoli propositi del grande letterato siciliano sembrano essersi, almeno in parte, realizzati…
Gli spaghetti alla bottarga si presentano come un primo piatto molto saporito, di semplice e veloce preparazione, e richiedono particolari attenzioni ed ingredienti di primissima qualità. Un piatto esuberante, e “di contrasti”, come lo è, in fondo, la nostra terra. Semplice e complesso allo stesso tempo, non può sposare un formato di pasta qualunque… Deve essere assolutamente un formato” lungo” e con un’anima consistente, essiccato a lungo e naturalmente; diciamo che è ideale uno spaghetto (anche se la ricetta originale prevede bucatini) trafilato al bronzo, di alta qualità e in grado di trattenere il condimento. Per molta gente la pasta con la bottarga resta uno dei grandi ricordi-leggenda legati al loro breve soggiorno in Sicilia. Ad ogni modo, costituisce una vera golosità, assolutamente da provare, almeno una volta nella vita… In commercio la bottarga si trova sia sotto forma di “baffe” da grattugiare, in varie pezzature (anche di circa 100 g), che già ridotta in polvere in vasetti di vetro (forse più comoda da usare, ma nemmeno paragonabile dal punto di vista organolettico). La bottarga si può spellare, spezzarla con le mani in piccoli tocchi e metterla riposare per una notte in frigo in una tazzina sommersa d’olio. Il giorno dopo, si dovrebbe essere ammorbidita quel tanto che basta per lavorarla agevolmente per preparare il condimento. Il vantaggio è di non rompere le uova mantenendo tutto il sapore. Qualcuno aggiunge una spruzzatina di limone, e anche della buccia di limone grattugiata, per equilibrarne l’esuberante carattere. Oppure due pomodori secchi, ammorbiditi e tritati grossolanamente. Unica avvertenza: attenzione con l’olio, non eccedete, altrimenti la pasta risulterà troppo grassa e pesante. Primo piatto ideale per una cenetta romantica (c’è chi pensa che abbia dell’afrodisiaco), ad ogni modo, sulla bottarga non si può minimizzare e, vista la sua storia, merita senz’altro un rispetto assoluto. Dico questo perché mi capita spesso di leggere ricette in cui essa compare spadellata sul fuoco come se fosse un insaporitore qualsiasi. E la cosa mi avvilisce. Qualunque sia la ricetta, perché la pasta con la bottarga sia un vero tripudio dei sensi, e non un piatto che sappia vagamente “di mare” le regole, semplici e inflessibili, sono due: 1) la bottarga deve essere fresca, e intera. Quindi lasciate perdere i barattolini di roba grattugiata. 2) la bottarga, assolutamente, non va cotta. La cottura la rovina, irrimediabilmente. Quindi, se ci tenete al vostro piacere, tenetela lontana dal fuoco. Unica eccezione, una breve e leggera riscaldata a bagnomaria del condimento, come prevista dalla ricetta in slang siculo qui pubblicata. Ognuno poi ha la sua ricetta, e sono tutte buone se seguono queste due regole fondamentali. Al limite, gli spaghetti possono essere conditi con un soffritto di aglio e prezzemolo cui sia stata aggiunta poca bottarga, e poi completati con la bottarga restante.
Se desiderate un gusto più delicato tagliate un spicchio d’aglio e passatelo solo sulle pareti dell’insalatiera che userete per servire in tavola. Qualcuno aggiunge alla preparazione un peperoncino tagliato per il lungo, che poi toglie insieme all’aglio. Altre varianti di questa ricetta prevedono l’aromatizzazione dell’olio con la cipolla piuttosto che con l’aglio o l’aggiunta di pepe e pistacchi tritati. C’è chi aggiunge dell’aneto oltre al basilico per conferire maggiore freschezza al condimento ed equilibrare la sapidità del piatto. Ho visto versioni in cui alla bottarga veniva aggiunto un pesto di pinoli e un po’ di mollica di pane tostata nell’olio. Per gli amanti dei sughi a base di pomodoro, una interessante versione che ho trovato, consiste nel soffriggere in olio extra vergine di oliva mezza carota, una costola di sedano, mezza cipolla e uno spicchio d’aglio. Si aggiunge poi la polpa di pomodoro, basilico abbondante, due cucchiai d’acqua, sale e pepe. Dopo circa 15 min. di cottura vengono aggiunti dei capperi, e si prosegue la cottura per altri 5 minuti. Gli spaghetti al dente, vengono conditi con la salsa così preparata e completati con una spolverata di pepe e bottarga. E potrei continuare ad libitum. Io vi propongo quella che, a mio modesto parere, è la versione più corretta, e consente di godere appieno delle caratteristiche organolettiche degli ingredienti in gioco.
Spaghetti con la bottarga
Ingredienti
400 g di spaghetti trafilati “al bronzo”, 100 g di bottarga di tonno, 50 g di pecorino grattugiato, 2 o 3 spicchi d’aglio, un ciuffo di prezzemolo, qualche foglia di basilico, olio extra vergine di oliva.
La preparazione
Grattugiate la bottarga e mettetela in una ciotola insieme con gli spicchi di aglio sbucciati e tritati e il prezzemolo mondato, lavato, asciugato e tritato finemente e un paio di foglie di basilico. Aggiungete qualche cucchiaio di olio di oliva, in quantità necessaria a legare bene il condimento, quindi lavorate il tutto con una forchetta fino a ottenere una salsa piuttosto omogenea. Muovete l’insalatiera in modo tale che si ungano anche le pareti interne. In questo modo i sapori dell’aglio e della bottarga si diffondono nell’olio d’oliva creando una stupefacente armonia di profumi mediterranei. Per agevolare questa operazione e ottenere un emulsione che darà alla pasta una consistenza setosa, è utile aggiungere un po’ d’acqua di cottura della pasta, lavorando il composto sempre con la forchetta.
Portate a ebollizione abbondante acqua in una pentola, salatela pochissimo o, ancor meglio, non salatela affatto (la bottarga è già dotata di una forte sapidità, così come il pecorino), poi tuffatevi gli spaghetti e cuoceteli al dente. Quando la pasta sarà cotta, scolatela e mescolatela al condimento preparato. Il pecorino grattugiato completa il piatto, che prima di servire, lascerete riposare, a tegame coperto, per qualche minuto. Una volta servita, non lesinate su una ulteriore, bella spolverata di bottarga… La grande sapidità e persistenza gusto-olfattiva del piatto, implica, per contrapposizione, l’abbinamento con vini morbidi e di altrettanta persistenza gusto-olfattiva. Può andare bene uno Zibibbo secco di buona persistenza o un Vernaccia di Oristano in purezza. Per gli amanti dei rossi, opterei per un buon rosso isolano come un Salina igt. Per i più audaci, un Marsala semisecco. A dimostrazione della grande sapidità del piatto e quindi del conseguente impulso a libare con indulgenza, un vecchio detto siciliano, non a caso, recita: si vuliti viviri gustusu, ovu di tunnu e carduni spinusu…
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