Ci sono piatti che una volta gustati finiscono per appartenerci. Entrano nell’anima, si nascondono nei sentimenti. In certi momenti, quando meno te lo aspetti, riaffiorano e ti fanno compagnia.
Posseggono una potente capacità suggestiva, una forza incredibile, una prorompente personalità, una grande eleganza. Posseggono la grande bellezza dell’armonia. Non credo ci sia una differente spiegazione. Se, per questi piatti, dovessimo ricercare una anologia nel Cinema potremmo trovarla nella figura di Charlot.
La sua eleganza surreale, povera ma sobria , la sua giacca stretta e lisa, il suo cappello consunto, l’immancabile bastoncino e la sua incerta camminata si installa nella mente e mai più riesci a liberartene. Possiede la grande bellezza dell’armonia.
Nella pittura l’analogia potrebbe essere con Chagall, con i suoi colori liberi e brillanti, le sue figure morbide e sinuose piene di amore e di gioia di vivere. Una volta che hai visto una delle sue tele mai più te ne liberi . Possiede la grande bellezza dell’armonia.
Molti anni orsono nel corso di una cena fatta in una modestissima Osteria di paese mi capitò di assaggiare un piatto inquietante: bucce di fichi d’India seccate al sole e fritte. Non credo si possa immaginare un piatto più povero . Troppe volte ho cercato di immaginare la figura di quella donna, una vegana per necessità, che spinta dal bisogno e dalla necessità di servire un piatto caldo ai propri cari studiò di sublimare tanta povertà . Un lieve sentore di menta rendeva quella preparazione unica.
Di questo piatto io non mi sono mai liberato però mai più ho voluto rigustarlo.
La storia della Cucina è ricca di piatti semplici e raffinati che sublimano la povertà.
Uno di questi è la “nchiampara”.
Una squisitezza che si prepara, da sempre e speriamo per sempre,ad Acri.
E’ una portata fissa nel menù de “il Carpaccio” che Gianfranco Manfredi descrive come un “ santuario della cucina perduta”. Chiacchierando di questa squisitezza con Gianluigi Miceli che con il papà conduce il Ristorante viene fuori un racconto suggestivo.
La “nchiampara” era per i poveri una specie di pane non lievitato fondamentale per sopravvivere. Si preparava con un pugno di farina, impastata con acqua , pochissimo olio e con le foglie turgide e verdi dei cipollotti. Non il bulbo perchè troppo ricco; si cucinava per di più senza uova. Le uova servivano per la “ cumparenza” per fare bella figura, ed erano appannaggio soltanto dei ricchi. Alla loro mensa la “nchiampara” non veniva mai servita. Per loro si serviva la più ricca “Frittata con le cipolle” Al Carpaccio, aperto oramai da un quarto di secolo, vivaddio se ci piace!, sono riusciti a tenere in vita questo piatto e lo servono tra gli antipasti solo per una questione di cuore.
Ottavio e Gianluigi Miceli ci fanno dono della ricetta che suggerisco di tenere tra le cose care della vita.
Gustando tanta semplicità la vostra mente andrà a quella bellissima musica di Astor Piazzolla “Chiquilin de Bachin”. Racconta la storia di Chiquilin figlio di una prostituta che viveva per la strada. Il suo lavoro era vendere rose nei Ristoranti e quando neanche un soldino entrava nelle sue tasche la sua cena consisteva in “ pane e luce di Luna”. Non poteva permettersi neanche la “nchiampara”.
PinuccioAlia
La “nchiampara”
Di Ottavio e Gianluigi Miceli
Tempo di preparazione: 15 minuti
Tempo di cottura: 30 minuti
Ingredienti per 4 persone
- otto cucchiai di farina
- un cipollotto fresco
- un pizzico di sale
- olio d’oliva di grande qualità
Preparazione
Prepariamo con l’acqua e la farina una pastella liquida, come quella che normalmente prepariamo per fare le crepes.
Tagliamo a rondelle il bulbo della cipolla e gli steli verdi.
In una padella capiente aggiungiamo due cucchiai di olio di uliva e facciamo imbiondire.
Quando la cipolla è pronta versiamo sopra la pastella.
Facciamo cuocere a fuoco dolce cinque minuti poi rigiriamola , come se stessimo facendo una frittata e cuociamo per altri cinque minuti . Quando, formerà la crosticina è pronta e dobbiamo servirla immediatamente.