di Marco Contursi
Ha senso continuare a scrivere di cibo o di vino?
State distruggendo la comunicazione gastronomica e la tradizione locale.
Questa mia amara considerazione, nasce dal fatto che ormai la Pizza, sta monopolizzando la comunicazione gastronomica e l’interesse delle persone, bersagliate quotidianamente da mille post, foto, articoli sul disco di pasta in forno.
Esagero? Ve ne do la prova. Se prendiamo il numero di visite su questo blog del mio ultimo articolo e lo sommiamo a quello dell’ultimo articolo di Terracciano, Malgi, Faratro, D’amico, Scarpato, Galetti e Marchionne, non arriviamo alla metà delle visualizzazioni del comunicato stampa dell’apertura della pizzeria di Isabella de Cham. Cioè, un semplice comunicato stampa che riporta la notizia dell’apertura dell’ennesima pizzeria a Napoli ha totalizzato oltre 15mila letture, mentre il migliore di quelli di cui sopra, a stento arriva a 2,5 mila.
Ma vi rendete conto della povertà umana e intellettuale della cosa?
Lasciando stare il mio articolo, che come tutti quelli che scrivo cerco sempre di rendere interessante, consigliando locali fuori dai circuiti e farcendo la scrittura con note curiose sui prodotti, ma vi rendete conto che è stato snobbato il pezzo di Francesca che ci ha portato nella magia della costiera con foto bellissime, quello di Enrico che ogni volta mi appassiona con le sue degustazioni tecniche e magnificamente narrate dei vini, quello di Franco che ci ha parlato di un salume rarissimo,quello di Fabrizio che ci racconta il cibo con la poesia, quello di Ugo che ci fa vivere l’affascinante mondo del cibo giapponese, e infine quello di Marco che ci porta a scoprire una centenaria trattoria e il suo stinco?
Questi sono pezzi pensati, sudati, vissuti, pagati. Sì, pagati, da chi scrive, perché lo stinco è stato pagato, come il mio panino e gli hosomaki di Ugo.
Questi sono pezzi che raccontano varie sfaccettature della gastronomia italiana e non. E invece? Tutto nel cesso per leggere della apertura dell’ennemila pizzeria. E basta guardare gli ultimi articoli che parlano di pizzerie per rendersi conto di quanto stacchino in visualizzazioni tutti gli altri.
E sì, perché ormai sono nell’ultimo anno, ennemila le pizzerie aperte da grandi nomi e perfetti sconosciuti, e ogni volta con gran risalto su giornali e blog.
Un martellamento continuo che porta le persone, a interessarsi quasi solo di pizza.
Non era così pochi mesi fa, basta vedere le visite che faceva un mio pezzo ad agosto scorso per rendersi conto che superava facilmente le 4 mila visite, sempre.
Si sta facendo quello che fece Mac Donald negli anni addietro, ossia una colonizzazione mondiale del food da parte di un solo piatto, che seppur eccellente, è sempre 1 solo aspetto del variegatissimo mondo della gastronomia italiana. E soprattutto, si fanno morire quelle economie di prossimità che invece si avevano quando prima, chi voleva una buona pizza, doveva venire a Napoli. Per capirci, che si apra una pizzeria napoletana a Milano è normale, che ormai sia una corsa a chi ci va, no.
Come non è normale, che a Scafati, dove vivo, sono scomparsi ristoranti storici come il Sandulillo e Vagne e la Reccia e sia invece un fiorire di pizze e pizzerie. Come sta succedendo a Nocera e Cava dove ormai non si contano più le aperture settimanali, a volte una difronte all’altra. Quando potrà ancora durare? Già in alcune città come Salerno la crisi dei clienti, divisi ormai tra le tante nuove aperture inizia a farsi sentire, e pizzerie che fino a anno e mezzo fa erano sempre piene, ora vivono giorni di grande magra. Resistono Napoli e Caserta e le loro province ma lì ci sono milioni di persone e capitali. Perché se a 20 anni ti fai un locale da 500mila euro, i soldi qualcuno te li ha dati. E’ un dato di fatto che chi oggi decide di investire nel food, lo fa quasi esclusivamente nel settore pizza.
La pizza è un cibo meraviglioso ma lo stanno tramutando in una macchina da soldi che macina tutto e in cui tutti cercano di arricchirsi come possono.
Ma secondo voi è normale che ormai i prodotti presidio slow food e in generale quelli di eccellenza, sono comprati quasi solo dalle pizzerie? Rispondo io:NO!!!!
Perché una soppressata di Gioi, un cacio ricotta cilentano, la mozzarella nella mortella, un ottimo prosciutto crudo, messi su un disco di pasta a 450 gradi cambiano totalmente, in peggio, le loro caratteristiche e quindi chi li consuma sulla pizza, non ne avrà mai assaporato il loro ineguagliabile sapore. Sull’uso poi dei salumi di “maialino nero” (cazzo, non si chiama così, come devo dirlo?!!!), stend un velo pietoso….Che poi, pensandoci, non ho mai e dico mai, visto un pizzaiolo famoso (ma neanche quasi famoso..) a un corso sull’olio, sui salumi e sulle birre. Ma li scelgono e selezionano? Come? Vorrei capirlo. Io degusto ad esempio olio da 10 anni, con corsi e esercitazioni periodiche e ancora ho difficoltà in presenza di più campioni da provare.
Sia chiaro, non ce l’ho con la pizza in sé, né con i pizzaioli, ma con il folle martellamento quotidiano che ci arriva dai mass media, con l’apertura infinita di succursali, mentre casomai la pizza della casa madre cala in qualità, perché tutto non è possibile seguire, con l’aumento dei prezzi di alcuni prodotti perché tanto un pizzaiolo che lo compra per il marchietto di presidio, si trova sempre.
Che farine e forni siano sponsor di alcuni blog è cosa nota, che altri prendano soldi a vario titolo (consulenze, pubblicità, concorsi,cura dell’immagine ecc), pure. Che se ne parli troppo è verità assiomatica.
Ma avete fatto caso che ci sono oggi più campioni mondiali di pizza che campioni di karate? Un tempo ogni palestra aveva un allievo che era arrivato primo a qualcosa, oggi tutte le pizzerie hanno un primo classificato nell’ennemilionesimo campionato di pizza. Quasi tutti organizzati da sponsor del settore.
La cosa triste è che sempre più trattorie, sono costrette ad affiancare il forno per le pizze, che si parli poco o nulla di cauraro e maracucciata, che seppur se ne parli, nessuno quasi ti legge, che c’è gente che va nel cilento a chiedere in osteria se fanno la pizza e sennò girano i tacchi, che il napoletano va a Milano e invece di cercare un ottimo ossobuco, va a mangiarsi la pizza fritta che trova pure sotto casa e magari si fa pure un selfie. Già, questa mania da parte di pizzaioli e clienti di fare milioni di foto a ogni spicchio di pizza per strappare un like in più.
Ma d’altronde stiamo parlando di Maestri, vero? Anche se hanno poco più di 20 anni e sono alla loro primissima esperienza imprenditoriale, anche se non hanno insegnato ancora niente a nessuno, anche se credono che fare una ottima margherita equivalga a una operazione a cuore aperto. Ma la gente vuole una foto con loro, li reclamano, li osannano, come con un grande attore o uno scrittore di fama. Ricordo ancora quando un blogger definì un pizzaiolo, “un mito che lascia traccia nel mondo”: Uanem do priatorio, e chi sij? Fleming? (leggere con accento sulla i, come nell idioma partenopeo).
Sono sincero, a una foto di pizza, preferisco mille volte la foto della costiera di Francesca Faratro e un bel piatto di scialatielli con l’aragosta dei Galli appena pescata. Questo sì che è difficile replicare a Londra o a Milano.
Ma alla massa questo non interessa poichè “la massa ha scarsissima capacità di giudizio e poca memoria (Schopenauer).
Mi resta una domanda: Ha senso continuare a scrivere di cibo o di vino?
Caro Marco
la risposta è si perché se si smette quelle realtà che hai citato difficilmente avranno un’altra possibilità. Il numero di letture non è l’unico parametro motivazionale, altrimenti anche noi entreremo della logica del supermarket della notizia. E’ vero che la pizza sta cannibalizzando la scrittura del food, ma è anche vero che i pizzaioli sono degli straordinari animatori nei social e purtroppo non lo stesso di può dire dei ristoranti, delle trattorie o dei produttori dell’agroalimentare. Questo ovviamente incide anche nella diffusione di un articolo.
Ho ormai età ed esperienza per dirti che tutto è moda e nulla resta come lo vediamo. Pensa allo spasmodico interesse per il vino o quello per i ristoranti stellati, oggi molto ridimensionati. E chi resta fermo sui propri progetti di racconto non deve far altro che aspettare compilando nel frattempo articoli densi di notizie e informazioni, piacevoli da leggere. Sempre dalla parte del lettore e del cliente.
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