di Marco Contursi
Un semplice post mio, che criticava una foto di una pizza con le lumache inviatami da un amico, non giovane e appassionato di cucina da oltre 40 anni, ha scatenato un putiferio. Centinaia di commenti su facebook e già questo lo trovo assurdo, essendomi occupato negli anni di temi molto più importanti afferenti la gastronomia ma mai ho riscontrato un tale interesse come dopo aver criticato una pizza con le lumache e già questo la dice lunga sulla deriva del settore. Ritengo tuttavia giusto palesare alcune mie considerazioni anche perché qualcuno avrebbe potuto interpretare la cosa come un attacco personale e non era il mio intento. Premetto che non conoscevo né chi, ne dove fosse stata fatta quella foto, poiché stavo col cellulare e anche la scritta in piccolo coi nomi degli autori mi era sfuggita. Non sto neanche a discutere se gastronomicamente fosse o meno eseguita bene, sia poiché non mi interessa ai fini del mio ragionamento, sia perché lo chef che l’ ha realizzata è uno dei migliori che conosca e,caso dei casi, ero stato da lui a cena la sera prima con grande soddisfazione.
Ma una pizza con le lumache non si può vedere, a prescindere. Ma neanche una pizza con un carpaccio (pure preparata nell’occasione), visto che se metto un carpaccio su una pizza calda si cuoce e diventa altro.
Il problema è che ormai di pizza e pizzeria si parla dovunque, troppo e male e queste esasperazioni ne sono un palese esempio e lanciano all’esterno un messaggio sulla pizza fortemente sbagliato. Anche perché mi risulta che le pizze in questione non venivano poi degustate e quindi era solo un mero esercizio stilistico e di sterile fantasia. Fare cioè qualcosa di curioso e bello a vedersi ma che magari al gusto non era poi cosi buono. Siamo al culto della estetica fine a se stesso, fare delle pizze, che non si possono mangiare ma solo fotografare. Io lo trovo allucinante. E’ un chiaro esempio di onanismo narcisista-gastronomico, la negazione della caratteristica principale del cibo, cioè essere mangiato. Ma di che stiamo parlando…
Pizza, come scrisse un giornalista gastronomico campano di gran spessore è una pietanza in cui l’impasto si fonde con quello che c’è sopra in un morso di voluttuoso piacere. Pizza e “farcitura” sono un tutt’uno, non elementi distinti.
Pensare alla pizza come ad un piatto su cui si poggia di tutto, è antitetico all’idea stessa di pizza, come pure metterci sopra ingredienti costosissimi. Ricordo infatti che la pizza esce a temperature altissime dal forno e quindi qualsiasi cosa venga messa sopra subisce un istantaneo processo di cottura, cosa di cui pochi tengono presente. Mettere un jamon iberico molto stagionato su una pizza significa alterarne il gusto e rendere salata la pizza. Mettere una ostrica o un carpaccio di marchigiana su una pizza significa mangiare poi altro, ossia carne cotta e quindi anche il nome carpaccio non va più bene, trattandosi di una preparazione di carne cruda.
Parlare di pizza e ridare dignità ad un piatto che è un vanto della tradizione gastronomica napoletana, è cosa buona e giusta.
Arrivare a questi parossismi a chi fa bene?
E non mi venite a dire, basta che se ne parli…..come pure non mi dite “ma era buona”, poiché anche una pastiera con cioccolato fondente e amarene può essere buonissima ma non è più il dolce pasquale napoletano e non deve essere confusa con esso.
Anche perché vorrei far notare che oggi è la ristorazione in crisi e non le pizzerie e quindi questi eventi in cui chef bravi prestano la loro arte per far parlare ancora di pizza, cui prodest? Non certo a loro, poiché vedendo le foto di alcune pizze presentate nell’occasione al massimo mi viene voglia di mangiare una pizza più che di provare quel ristorante. E sapere di chef capaci e magari titolati, che si mettono ad aprire pizzerie o simili per sbarcare il lunario mi mette solo tanta tristezza. Dovrebbe esserci spazio per tutti e nessun campo dovrebbe fagocitare l’altro.
Pizza è tradizione, non certo immobile sia chiaro ma neanche modernità esasperata o schifezze spacciate per tale. Ok quindi a pomodoro buono, olio evo e mozzarella di qualità. No a lumache, ananas, carpaccio di kobe, melone Yubari e prosciutto di nero di Bigorre. No a parlarne sempre e comunque, magari con iniziative che ne snaturano l’intima essenza di piatto povero ma eccellente se ben eseguito. Ricordando che prima degli ingredienti sopra, è l’impasto e la cottura che fanno una ottima pizza.
Mi piace chiudere con una poesia di 70 anni fa affissa al muro di una vecchia pizzeria napoletana, in cui negli anni universitari spesso mi rifugiavo,con soddisfazione, da Michele.
Forse non è la migliore pizza da me mai mangiata (su olio di semi non posso concordare), ma quando penso alla pizza e ad una pizzeria, questa mi viene in mente per ambiente, prodotto, prezzo. Ce ne sono di più belle, che fanno pizze forse piu buone, che hanno vini importanti ma l’archetipo di pizza e pizzeria è questa. Non è immobilismo, che pure io critico ma difesa di una tradizione centenaria che necessita di pochi aggiusti e nessuno stravolgimento, per essere perfetta.
“A quanto sta o benessere a gente pensa a spennere,
e mo pure o cchiù povero se sente e cummannà…
“voglio na pizza a vongole, china e funghetti e cozzeche,
chi gamberetti e ostreche do mare e sta città.
Mmiezo poi nce voglio n’uovo fatto alla cocca,
e Co liquore Stocco l’avita annaffià”….
Quanno sentenno st’ordine c’è vene ca na stizza,
pensanno “ma sti ppizze songo papocchie o che?!”
Cca se rispetta a regola facenno a vera pizza,
chella ch’è nata a Napule quasi cent’anne fa.
Chesta ricetta antica se chiamma MARGHERITA ,
ca Quanno è fatta a arte po gghi nnant a nu rre!!!
Perciò nun e cercate sti pizze complicate
ca fanno male a sacca e o stommaco patì….”
p.s. preciso che il fatto di aver allevato una lumaca per 7 anni e di essere oggi uno dei più grandi collezionisti di lumache fatte con materiali di tutto il mondo, non ha condizionato il mio sdegno nel vedere una pizza con loro sopra. Nooooooooo…….
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