di Marco Contursi
Se c’è una cosa che mi fa arrabbiare nel mondo food sono le mode, ossia il rincorrere da parte di critica e clienti una tipologia di locali, ignorando o quasi tutto il resto. Tipico caso, adesso quello della pizza napoletana, peraltro confinata per molti alle province di Napoli e Caserta.
Oggi tutti ne parlano e ne scrivono, ignorando un’altra pizza, che per moltissimi, me per primo, è stata la “sola “pizza fino alla maggiore età: la pizza gragnanese.
Per chi come me ha fatto le elementari a Gragnano e il liceo a Castellammare, quella di Gragnano è stata la sola pizza mangiata fino al conseguimento della patente che festeggiai con una andata a Napoli, da Brandi, trasgredendo alla raccomandazione di papà di non allontanarmi troppo, essendo neopatentato.
Ma non solo per tantissimi dell’area stabiese, quella di Gragnano è stata la tipologia di pizza prevalente, ma anche per moltissimi napoletani che ricordo, fine anni ’90, affollavano in frotte, le pizzerie di Gragnano, soprattutto il sabato sera. Andare a mangiare il panuozzo era un rito per moltissimi, da tutta la campania.
“Ma ora?” Mi sono posto questa domanda, e ho cercato di dare una risposta, girando tra le pizzerie della mia infanzia e purtroppo la situazione è tutt’altro che rosea.
E lo voglio urlare, augurandomi di poter risollevare le sorti di una settore, che ancora galleggia ma ben lontano dai fasti passati.
Ma in cosa si differenza la pizza gragnanese da quella napoletana? Innanzitutto nell’impasto, che lievita molto meno, si parla di circa 6-7 ore, più panoso. Più lunga anche la cottura, che supera i 3 minuti, così come il fatto che venga venduta a peso o a metro, in pratica non si fanno pizze singole tonde.
Ma, magari, aumentando un po’ la lievitazione e diminuendo di conseguenza il lievito, questa pizza potrebbe pure andare ma, ho riscontrato ben altri problemi.
Lo dico subito: qui la nouvelle vague della pizza di qualità non è proprio arrivata.
Locali fatiscenti, o comunque molto vecchi, ingredienti tra il sufficiente e il pessimo, nessuna attenzione alle bevande che non vanno oltre le marche più commerciali di birra e una bottiglia di vino frizzante, spacciato per gragnano.
Ripeto, ho girato quelle della mia infanzia, e tranne una che ho trovato demolita (era ora, gli ultimi anni era fatiscente, oltre ogni ragione),le altre erano in piena attività. In ognuna ho preso mezzo kg margherita e capricciosa e un panuozzo classico ossia pancetta e fior di latte. Di due documento con foto, nella terza, che poi è la prima che provai, foto non ne feci, ma trovando la pizza molto mediocre,scattò in me la molla di girarne altre e fare l’articolo.
Veniamo a noi
Capitolo impasto: impasto in alcuni casi più alto, in altri più sottile ma in tutti poco lievitato e tanta acqua da bere nella notte successiva alla cena. Alcune pizze erano cotte male, risultando biscottate e con ingredienti sopra bruciati o asciugati dalle eccessiva cottura.
Capitolo ingredienti: discreto il fior di latte e il pomodoro usato, dovunque olio di semi a gogò. In una, per correttezza di cronaca, registro la presenza di una bottiglia di evo commerciale e di olive estere, lasciata aperta sul bancone ma non utilizzata in mia presenza. Prosciutto cotto sulle pizze di scarsissima qualità, sicuramente un ricomposto, fetido in un caso, tanto che ho dovuto scartarlo per poter continuare a mangiare. E qui apro una parentesi: chi dice che bisogna usare salumi scadenti nelle preparazioni cotte, dimentica che il calore amplifica puzze e sapori sgradevoli. Comunque, ritornando a noi, appena sufficienti i funghi utilizzati, chiaramente quelli in latta da svariati kg. Migliore invece la pancetta nei panuozzi, ma solo perché, anche industriale la pancetta solitamente è quasi sempre accettabile, al massimo sa di poco ma non ha gli odori sgradevoli di prosciutti cotto e crudo scadenti.
Capitolo bevande: solo birre industriali delle marche più comuni, e vino frizzante spacciato per Gragnano ma il vero Gragnano si imbottiglia con tanto di etichetta e marchio dop. Questo è lo sfuso che molte cantine (che producono anche il dop) fanno e che localmente chiamano Gragnano ma le uve chiaramente non sono locali. Costa circa 1.50 euro al litro, anche meno.
In un paio di tavoli ho visto degli antipasti di salumi e formaggi e tranne il fior di latte, tutta roba assai commerciale.
Capitolo personale di sala: quasi sempre gentile ma totalmente impreparato se gli chiedi info su tempi di lievitazione e ingredienti.
Capitolo prezzi: tranne una, più cara, le altre pizzerie vantano prezzi davvero bassi, non si superato gli 8 euro per un mezzo kg metà margherita e metà capricciosa e i 7-8 euro per un panuozzo che tranquillamente si divide in 4, se dopo si prende pure la pizza. Spesa contenuta ma anche qualità ai minimi termini.
E a me questo dispiace davvero, perchè alla pizza gragnanese ci sono affezionato. Mi ricorda i compleanni degli amici delle elementari, mia mamma che tornava dai consigli scolastici pomeridiani e me la portava. Io che la riscaldavo la mattina dopo, poiché, differenza di quella napoletana, è buona anche riscaldata a distanza di ore.
Dopo aver girato 3 pizzerie storiche e 2-3 nuove, mi domando:
Perché a Gragnano, questa ventata di rinnovamento che ha investito la pizza napoletana a tutte le latitudini non è arrivata?
Perché i locali sono vecchi, con sedie vetuste e ambiente anni’90?
Perché gli ingredienti sopra la pizza, a iniziare dall’olio, passando per i salumi e le verdure, sono spessissimo scadenti, al limite dell’edibile?
Perché la parola birra artigianale non è arrivata?
Perché giornalisti e critici, non si sono mai interessati a questa pizza? Magari aprendo gli occhi sulla qualità a chi fa il mestiere da tanti anni, senza mai rinnovarsi?
Di una cosa sono convinto: il primo dei pizzaioli di Gragnano che decidesse di puntare sulla qualità, aprirebbe un nuovo filone e farebbe i soldi a palate. Magari mi è riconoscente per avergli aperto gli occhi e mi offre una bella capricciosa come si deve….
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