di Carmen Autuori
“Hai messo abbastanza zucchero?”. “Ma il cioccolato è quello buono? In cucina non ci deve essere risparmio”. “Aggiungine un altro po’ sennò è poco e non lo possiamo regalare al vicinato. Le bocche sono sorelle, non te lo dimenticare mai”.
E’ una sorta di refrain che mi accompagna quando mi accingo a preparare questo dolce antico, il sanguinaccio, che non conosce mezze misure: o lo si ama o lo si odia. Le voci appartengono alle sorelle Teresa e Nicolina Ormando, la cui passione e grande competenza in cucina era riconosciuta da tutto il paese, Montesano Sulla Marcellana, nel Vallo di Diano, l’ultimo della provincia di Salerno a confine con la Basilicata. La loro ricetta si discosta da quella in uso nel napoletano e nel salernitano dove il sanguinaccio viene detto “a crema”.
Fermo restando gli ingredienti base (sangue di maiale e cioccolato fondente) ha la consistenza quasi di un budino, grazie alla presenza di biscotti tritati o di semolino, ed è racchiuso in un fragrante involucro di pasta frolla. L’uso valdianese di racchiudere la crema in uno scrigno di pasta frolla, probabilmente, nasce dall’esigenza di conservare più a lungo la crema di sangue e cioccolato, perché nella cultura contadina il dolce assume connotati di cibo raro e prezioso che va gustato con parsimonia e nel tempo.
Questa è solo una delle tante ricette che ruotano intorno a alla nostra particolarissima crema, in quanto il sanguinaccio è il dolce tipico del Carnevale di tutto il Meridione. La base, come dicevo, è il sangue di maiale. E’ vero che dal 1992 ne è stata vietata la vendita al pubblico, rimane però nella produzione familiare a patto che si sia certi che la materia prima provenga da animali sani. Il sangue di maiale è, infatti, elemento imprescindibile e laddove venga omesso si potrà parlare di “crema al doppio cioccolato”, non certo di sanguinaccio.
Ma perché a Carnevale si mangia questo dolce? Le ragioni sono sostanzialmente due: la prima, sicuramente legata alla sfera del sacro, si ricollega alla figura di Sant’Antonio Abate, raffigurato sempre con un maiale di cui pare essere il protettore, festeggiato il 17 gennaio giorno in cui ha inizio secondo la tradizione il Carnevale; la seconda è che l’uso di mangiare tale cibo in questo periodo dell’anno è da ricollegarsi all’abitudine di considerare il Carnevale un momento di smoderatezza alimentare in cui non vi è differenza, almeno a tavola, tra ricchi e poveri, signori e contadini e quindi questi ultimi possono trasgredire alla loro consueta parca alimentazione proprio con quel maiale che è stato da loro stessi stesso allevato. E, dato che del maiale non si butta viene niente, anche il sangue diventa non solo commestibile ma addirittura si fa dessert.
Tipico della cultura gastronomica contadina ha conquistato, però, nel corso dei secoli anche la nobiltà. E’un dolce democratico il sanguinaccio che, a seconda della zona in cui viene preparato, assume consistenza e gusto diverso, fermo restando l’ingrediente principale.
In Campania, ad esempio, oltre alla versione classica (quella a crema per intenderci) che prevede cioccolato fondente, latte, pinoli, canditi e cannella, c’è anche quella con l’aggiunta di mandorle tritate arricchita da pezzi di pan di Spagna. Nei paesi dell’entroterra cilentano viene aromatizzato dal vincotto, mentre in Calabria si presenta in forma più solida per la presenza di ricotta che va a sostituire il latte. Sempre in Calabria, a Tortora, abbiamo una versione con il riso, chiodo di garofano e uva passa.
Dell’abitudine di addensare il sanguinaccio con il riso ce ne parla già Giovanni Battista Del Tufo nel “Ritratto o Modello delle grandezze delitie et meraviglie della nobilissima città di Napoli” , del 1568. La cioccolata arriverà più tardi nel Regno delle Due Sicilie ed andrà ad arricchire,come testimonia Vincenzo Corrado ne “Il cuoco Galante”, il sangue di maiale sostituendosi al riso. Con Ippolito Cavalcanti, duca di Bonvicino, si fa più importante la presenza delle spezie, ad esempio il chiodo di garofano che rimane ancora nella ricetta attuale assieme alla cannella, e fa la sua comparsa, sempre come elemento addensante, il mustacciuolo, tipico biscotto della tradizione dolciaria natalizia partenopea.
Non può mancare la penna di Matilde Serao, nel suo “Il paese di Cuccagna”, a celebrare questo dolce che racchiude in sé l’essenza del Carnevale partenopeo: “la enorme quantità di sanguinaccio rustico e sanguinaccio dolce, sanguinaccio nel budello bigio e sanguinaccio nel piatto, tutto cosparso di pezzettini gialli di pan di Spagna: il sangue di maiale, cioè, unito al cioccolatte, al pistacchio, alla vainiglia, al cedro, alla cannella e presentato in una forma umile e leggiadra, dove la sua grassa brutalità era scomparsa”.
Concludendo, qui al Sud, ma soprattutto a Napoli, non è Carnevale senza sanguinaccio. Dopo il famoso divieto del ’92 si è reinventato diventando una magnifica e setosa crema al cioccolato profumata di cannella, ancora più gustosa se accompagnata da biscotti savoiardi o chiacchiere. Però non chiamatela sanguinaccio, per favore.
La pizza di sanguinaccio
Ingredienti
750 g di pasta frolla
Per il ripieno
250 ml di sangue di maiale
1 Kg di cioccolato fondente
75 g di cacao amaro
1 l di acqua
400 g di zucchero semolato
150 g di semolino
200 ml di caffè ristretto zuccherato
2 cucchiaini di chiodo di garofano tritato
3 cucchiaini di cannella
2 fialette di essenza di vaniglia
2 cucchiai di miele
1 cucchiaio di sugna
Burro + farina per la teglia
Sciogliere il cioccolato, il cacao e 100 g di zucchero, a fuoco lento, con 250 ml di acqua. Lasciar raffreddare. In una capace casseruola dal fondo spesso, portare a bollore i restanti750 ml di acqua e versarvi il semolino a pioggia mescolando sempre per circa 5 minuti. Aggiungervi la miscela di cioccolato, il restante zucchero semolato, il miele, il caffè, le spezie. Quando il tutto si è intiepidito, aggiungervi il sangue di maiale previamente filtrato,ed il cucchiaio di sugna.Cuocere a fuoco dolcissimo per circa un’ora mescolando continuamente.
Foderare con la pasta frolla una teglia di 30 cm di diametro, precedentemente imburrata e infarinata, versarvi il sanguinaccio tiepido, ricoprire con la restante pasta frolla ed infornare a 180° per circa 45 minuti. Il dolce si può gustare sia tiepido che freddo.
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