di Sara Afeltra
La genovese, insieme al ragù, è uno dei pilastri della cucina partenopea e qui iniziano i ricordi indimenticabili.
Evoco l’atmosfera di casa, un profumo che nascondeva altri cento odori di piccole cose ,nostalgia d’altri tempi e mai dimenticati,questo ragu’ era talmente persistente che l’odore si sentiva dal vicinato. Una delle caratteristiche di questo ragu alla genuvese è che deve pippiare chiano chiano, perchè questi erano i tempi, lenti.
Il termine pippiare indica un tipo di cottura prolungata e a fuoco lento di un umido, un intingolo o una salsa. Ma pippiare è anche il caratteristico sbuffo del ragù che, sobbollendo, libera una bolla per volta.
Ma come mai questo sugo viene detto alla genovese pur appartenendo alla tradizione culinaria napoletana ?
Diverse le ipotesi, la più accreditata la fa risalire ad alcune osterie insediatesi nell’area del porto di Napoli nel periodo aragonese (XV secolo) e gestite appunto da cuochi provenienti da Genova, i quali erano soliti cucinare la carne in modo da ricavarne una salsa utile poi per condire la pasta.
Tipico piatto della tradizione napoletana, viene menzionato da Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, nobile napoletano con l’hobby della cucina, nella sua opera “Cucina teorico pratica” pubblicata nel 1837; ma ancor prima è Vincenzo Corrado, che ne parla nella sua opera “Cucina Napoletana” nella prima edizione del 1832.
Pasta alla genovese
Se non è dato di sapere con certezza la paternità e l’origine dell’aggettivo“genovese” di questo piatto, certa era la consuetudine dei genovesi di cucinare, nella pentola di terracotta, con sughi vari “u tuccu”; un pezzo intero di carne, per poi separarlo e farne un ottimo secondo.
Pratica in verità usuale in molte altre regioni italiane, allora come oggi.
L’immensa e variegata tradizione culinaria napoletana nata per le continue interferenze,a volte sinergie, tra i fasti della cucina aristocratica delle numerose dinastie che si sono succedute e di quella più semplice e genuina della classi popolari, mi fanno supporre, con sufficiente sicurezza che, l’ inventiva e la capacità di rielaborare dei napoletani, abbia accomunato la nobile carne alla più povera cipolla per creare questo succulento piatto,successivamente abbinato alla pasta.
Per completezza di informazione va detto che altre fonti storiche fanno risalire la ricetta ai marinai della “Superba” che sbarcavano a Napoli nel XVIII secolo portando con se anche le loro abitudini alimentari.
Ingredienti per 10 persone
1 pezzo di carne di vitellone (annecchia, in napoletano).
1 costa di sedano
2 carota
1,5 kg di cipolle (dorate o ramate)
1 bicchiere di passata di pomodoro
1 bicchiere di vino bianco
– sale e peperoncino in polvere o pepe q.b.
olio extra vergine di oliva
500gr di pennedi Gragnano ( Faella )o Garofalo
formaggio grattugiato
In un pentola fate rosalare in olio extra vergine d’oliva, il battuto di sedano e carote precedentemente preparato .
Appena il soffritto vi sembrera’ pronto aggiungete la carne tagliata a pezzi non troppo piccoli.
Fate soffriggere anche questa e sfumate con il vino bianco, aggiungete la cipolle e il pomodoro.
Procedere con tre ore di cottura a fuoco lento (chian chian) mescolando spesso e aggiungendo se è il caso un po’d’acqua.
Quando il tutto sarà diventao cremoso, spegnere il fuoco e salate, a piacere aggiungete o un pizzico di peperoncino in polvere , o il pepe.
Per verificare il tempo di cottura è importante procedere alla verifica della cottura della carne aiutandosi con una forchetta mentre le cipolle dovranno risultare una purea, calcoliamo tre ore di cottura. Lasciamo la carne a parte e procediamo con la pasta.
Per questo tipo di sugo,uso le penne lisce di Gragnano (Faella) o se preferite gli ziti lunghi di tradizione,che si spezzano con le mani.
Nota
In questo piatto la regina è la cipolla che assume prestigio definendo il piatto.Non devono essere adoperate le cipolle bianche, ma quella dorata, ramata o la cipolle di Tropea piu adatte a cotture lunghe. Personalmente o usato la mia cipolla paesana, un orgoglio nel cuocerla. Deve ridursi a purea ,solo a questo punto il sugo potra’ dirsi giunto a cottura, non usare mixer o frullatori, i tempi di cottura devono essere rispettati.
La carne è il girello che a Napoli chiamiamo “lacerto” o, in mancanza di quello, la punta di scamone o culaccio che, per i napoletani è l’Annecchia o il “primo taglio.
Personalmente preferisco usare l’annecchia o addirittura la coperta di costata,ottima nelle cotture lunghe e non diventa mai stopposa e secca.
La pasta ribadisco l’uso di ziti o penne,questo tipo di pasta permette di sposarsi perfettamente con il sugo, quasi come se fosse un gioco a nascondino, nella cottura la pasta non si deforma e il sugo si nasconde nella concava centrale , in modo tale che al gusto ci sia la giusta mescolanza di sapore. Evitate l’uso di paccheri o pasta lunga tipo spaghetti, tagliatelle o bucatini.
Il condimento pecorino, non amo il parmigiano in questo tipo di sugo, già dolce di suo.
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