di Laura Guerra
La zuppa di cozze di Assunta Pacifico e Giuseppe Scicchitano in via Foria, servita dal 1991 come piatto devozionale del Giovedì Santo è diventata in 33 anni la portata che identifica l’insegna blu mare, del locale storico, del più recente Innovative, e della storia di questa famiglia di ristoratori.
Una portata-firma che servono tutto l’anno, un piacere ritrovato che è la ragione principale per cui napoletani e turisti, clienti storici e curiosi si accomodano qua.
Per questo viene preparata in un laboratorio dedicato, seguendo una codifica della ricetta ed una procedura di lavorazione che non incrocia e non impatta sul lavoro delle cucine dei due ristoranti dove invece si eseguono i menu completi.
Abbiamo seguito passo passo la preparazione del piatto partendo dall’ingrediente principale, le cozze ancora nell’imballo di rete, fino al giro d’olio forte finale.
Cominciamo con cosa ci vuole: oltre alle cozze, polpo, vongole, maruzzielli, gamberi e scampi.
Il primo passo è calare il polpo in acqua bollente per pochi istanti, per tre volte, per far arricciare i tentacoli, la cottura continuerà poi per 40 minuti e diventerà morbido ma calloso al morso.
Nel frattempo si procede a lavare le cozze nella pulitrice ad acqua, una centrifuga capace di spazzolare fino a 10 kg di molluschi a 100 giri in 2 minuti. Segue la scottatura in acqua bollente, e a mano l’apertura e l’eliminazione del bisso, il tenace filamento che attacca la conchiglia allo scoglio.
Preparata la linea di tutti gli ingredienti Giuseppe monta il piatto: sotto vanno le freselle di pane biscottato, poi a raggiera con grande mestiere sovrappone la corona di cozze e gli altri frutti di mare e crostacei.
La portata è disposta, bella da vedere ed invitante ma non ancora pronta per andare a tavola, manca un passaggio
fondamentale che rende unica la procedura codificata qui. E’ la cottura sotto il quello che loro hanno chiamato il “cuoci cozze”, macchinario che hanno progettato e fatto brevettare ad hoc. Ce l’hanno solo loro e sostituisce una fase che si faceva a mano con il passino. E’ una doccia che eroga acqua bollente salata con un getto che viene sapientemente dosato con il mestolo forato e bagna tutto a mestiere, e qui occhio ed esperienza determinano la cottura perfetta.
Ed ora l’ultimo passaggio, quello che valorizza la sapidità, dà la piccantezza al piacere e il rosso del gusto: il giro di olio forte, condimento con peperone dolce e piccante ed extravergine, cotto e ristretto in enormi caldaie.
Il piatto, impreziosito da un bel tarallo sugna pepe e mandorle, è pronto per andare a tavola, deliziare il palato e sottolineare la devozione e la condivisione del Giovedì Santo.
Un piatto che parte da lontano da Raffaele Pacifico, nonno di Giuseppe, venditore ambulante di brodo di polpo che serviva con una caldaia sul carrettino a Porta Capuana, che tutti chiamavano Papuccio ‘o Marenaro. La figlia Assunta lo ha ripreso dalla memoria e contribuito a non farlo dimenticare e perdere. Giuseppe Scicchitano ha raccolto il testimone e ogni giorno e notte – quando lavorano in laboratorio 3 persone che preparano la linea delle preparazioni che hanno bisogno di più tempo – coordina una squadra di lavoro dedicata solo alla zuppa di cozze.
La versione che vi ho raccontato è il grande e amato classico, re del menu de La figlia d’o Marenaro; al piano di sopra nelle eleganti sale di Innovative, progetto di accoglienza diverso con cucina e cantina più ricercate, Giuseppe la serve conservando e rispettando la tradizione di famiglia; il tocco che gli piace offrire ai suoi clienti, è un raffinato filetto di astice.
Un piccolo ed intelligente pensiero che racconta come una storia di famiglia può stare nella piacevolezza della tavola contemporanea.
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