La Masardona e i segreti della frittura perfetta: Parla Enzo Piccirillo

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Enzo e Cristiano Piccirillo

Enzo e Cristiano Piccirillo i Maestri della Masardona la pizza fritta più famosa a Napoli

di Dora Sorrentino

La storia dell’Antica Friggitoria La Masardona è una di quelle che raccontano non solo il percorso di una delle dinastie di pizzaioli più famose a livello internazionale, ma parla anche di una città e di un quartiere che hanno vissuto ed affrontato a testa alta due guerre mondiali e un dopoguerra faticoso e difficile. La Masardona, al secolo Anna Manfredi, ebbe questo soprannome sin da piccola, quando fu mandata da un uomo a riportare un messaggio ad un’altra persona, la quale, complimentandosi con lei, la definì proprio in questo modo. In realtà questo termine veniva utilizzato già ai tempi dei briganti, indicando i messaggeri che riportavano comunicazioni segrete dall’interno delle mura della città verso l’esterno, ma questo è stato scoperto solo dopo. A raccontarci la sua storia è il nipote, Enzo Piccirillo, figlio di Salvatore e di Carmela Pintauro, che rappresenta la terza generazione di questa famiglia di pizzaioli.

Quando è cominciata la storia della vostra pizzeria?

La storia della nostra famiglia di pizzaioli comincia nel dopoguerra, quando mia nonna Anna cominciò a vendere le pizze fritte in casa, un’abitazione che è proprio di fronte alla nostra pizzeria in via Giulio Cesare Capaccio, nella famosa zona delle “case nuove”. Si vendevano una volta a settimana, in modo che non si creasse concorrenza con le altre donne del quartiere che facevano lo stesso a giorni stabiliti, quello di mia nonna era la domenica. All’epoca si utilizzavano i mezzi che si riuscivano a reperire facilmente, si impastava a mano nella madia di legno (‘a martora), si acquistava la farina al forno, si utilizzava un solo bruciatore per friggere in questo grosso pentolone ed era un lavoro tutto al femminile. Si realizzavano circa settanta – ottanta pizze alla volta, che venivano poi vendute a domicilio dagli amici del vicinato, in particolare da una “commara” (ai tempi, quando qualcuno faceva da padrino o da madrina ad uno dei figli, così veniva chiamato in dialetto, erano come parenti) che andava in giro per il quartiere, cercando di spingersi anche un po’ oltre confine, e a gran voce gridava “Brioche!” per richiamare i clienti, che si facevano mettere le pizze nel paniere. Poi c’erano i clienti abituali, quelli che di prima mattina venivano a fare colazione con la pizza fritta dopo aver lavorato di notte al mercato o in ospedale. Mio padre Salvatore inizialmente aveva preso un’altra strada, lavorava in una fabbrica di scarpe ed emigrò in America, io sono nato a Caracas. Però le cose non andarono così come erano state previste ed i miei genitori tornarono a Napoli, mio padre decise di aiutare mia nonna nel suo lavoro, che nel frattempo era cresciuto, perché la voce che la Masardona realizzasse pizze così buone si era diffusa ovunque. Quindi si decise di utilizzare un deposito di quartiere, di fronte alla casa di mia nonna, per aumentare la produzione. Nel frattempo mia nonna morì, quindi tutto il lavoro passò ai miei genitori, ma anche mio padre è andato via molto presto, per cui mia madre Carmela si ritrovò completamente da sola, con quattro figli da crescere ed un mestiere che non era il suo.

Cosa accade nel momento in cui tua madre Carmela rimane da sola e come comincia la tua esperienza di pizzaiolo?

Qui per fortuna subentrò la solidarietà di quartiere ed il sostegno della famiglia. Mia nonna era stata una donna molto generosa, che aiutava quando e come poteva chi ne avesse bisogno, abbiamo sempre vissuto come una grande famiglia in questo quartiere e tutta la sua bontà ci fu restituita. Mia madre fu aiutata per i primi tempi dai fratelli e dai cognati, magari le pizze inizialmente non riuscivano proprio come le faceva mia nonna, però tutta la famiglia ed il quartiere si misero d’impegno affinché lei non chiudesse l’attività. Dell’impasto se ne occupava mio zio, perché così poteva impastare anche quantitativi più grossi di farina, mentre i condimenti venivano realizzati dalle amiche del quartiere, come il ragù che aveva bisogno di cuocere per molto tempo. Io nel frattempo, come mio padre, avevo preso un’altra strada, facevo il tagliatore di pelli ed allo stesso tempo aiutavo la famiglia in tutto, anche a preparare ciò che serviva per realizzare le pizze fritte. Ma un giorno mia madre si ammalò e quindi per forza di cose dovetti subentrare io e da lì non mi sono più mosso. Alla fine degli anni Ottanta, inizio Novanta, comincia la mia avventura in pizzeria insieme a mia moglie ed ai figli che poi sono arrivati. La nostra è un’azienda “quasi” del tutto familiare perché con noi lavorano i figli di coloro che aiutavano prima mia nonna e poi i miei genitori. Man mano abbiamo aggiunto le fritturine ed anche il pagnottiello napoletano, che si prepara solo il martedì secondo la tradizione. A Natale e Capodanno si realizzano i roccocò, la cui ricetta ci fu data da un nostro parente che aveva lavorato in un forno e si era “rubato” il mestiere, ossia aveva carpito i metodi e gli ingredienti per preparare queste specialità napoletane. Mia nonna li vendeva solo due giorni all’anno, in una bancarella all’angolo della strada, e così si continua a fare. I miei figli, Salvatore e Cristiano, sono cresciuti in pizzeria. Sono entrambi laureati, Salvatore in veterinaria e Cristiano in lingue e culture moderne. Ma da soli, senza alcuna pressione da parte mia, insieme a mia moglie, hanno deciso di sposare la nostra causa e di voler portare avanti questa lunga tradizione. Attualmente Salvatore ha aperto la sua pizzeria a Piazza Vittoria, Cristiano a breve ci darà delle novità, il tutto condito da una forte unione familiare che è il nostro ingrediente principale.

Come nasce il battilocchio de La Masardona?

Il battilocchio è un marchio registrato e consiste nella pizza fritta chiusa a mezzaluna. Una volta c’era chi lo chiamava “meza pizzella”, ossia metà pizza, ma un giorno una bambina andò da mia nonna e le chiese di prepararle un battilocchio. Questo termine nel dopoguerra indicava un soldato americano, molto alto, che era considerato un fessacchiotto perché non riusciva a capire bene la nostra lingua, per cui è rimasta l’usanza di indicare con questo termine uno spilungone che non capisce nulla e probabilmente la bambina aveva associato la parola alla pizza chiusa che era stretta e lunga. Da allora è sempre stato chiamato così.

Come vedi il tuo futuro e quello de La Masardona?

La Masardona per nostra fortuna negli anni si è fatta conoscere per quello che è, ossia un’azienda onesta che realizza prodotti di alta qualità, con ingredienti di prima scelta. Le nostre pizze ormai sono amate da tutti, anche i turisti vengono a prima mattina per mangiare la classica pizza fritta napoletana con cicoli e ricotta. Molti arrivano con il treno a Piazza Garibaldi solo per provare delle vere emozioni. Io rimarrò qui, i miei figli andranno avanti per la loro strada cercando di realizzare i propri sogni e di continuare questa grande tradizione, con gli insegnamenti che abbiamo cercato di trasmettere loro.


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