Non c’è niente da fare, alla fine il vino campano ha due caratteristiche precise che lo segnano: la prima è la gioia del Piedirosso e della Falanghina, del Lacryma Christi e del Biancolella, dei vini di costa come della Coda di Volpe. Vini sinceri, unici, efficaci sul cibo, da bere in combriccola o spasati su un prato e sulla spiaggia. Poi c’è la magia autorevole dei grandi bianchi che invecchiano in modo straordinario e si reggono nel tempo molto meglio di Dorian Grey. Soprattutto Fiano, certo, ma anche Falanghina, Pallagrello, Coda di Volpe. L’altra sera alla Taverna del Capitano ho portato un po’ di bottiglie dimenticate negli anni in cantina. Sono saltati fuori bicchieri incredibili, capaci di reggere il confronto con qualsiasi altra zona del mondo per freschezza e complessità olfattiva, pienezza del frutto e mineralità. E se pensiamo a quello che costano, c’è solo a questo punto da pregare che i produttori non capiscano mai davvero cosa hanno in mano.
NOVA SERRA GRECO DI TUFO 2001 MASTROBERARDINO
Siccome al Sud siamo quello che siamo, ossia gli interpreti migliori della ubris degli dei, che poi è l’invidia degli uomini, quando l’azienda di Atripalda iniziò a commercializzare la linea vintage alcuni insinuarono che si trattasse di bianchi di annata. Col cavolo. Questa Magnum conservata da Mariella Caputo ha folgorato per la freschezza, la tenuta del colore, appena un giallo paglierino carico, la potenza nell’abbinamento al cibo. Una grandissimo vino!
VIGNA GIRAPOGGIO 2013 CILENTO DOP VERRONE
Il più giovane a tavola, ma quattro anni erano impensabili da bere sino a qualche tempo fa. Un frutto pieno, freschezza al palato, toni amari, valore di tenuta assoluto, lungo, ampio e complesso. La dimostrazione che anche il Fiano fuori dall’Irpinia regala sensazioni meravigliose.
FALANGHINA CAMPI FLEGREI 2011 CONTRADA SALANDRA
Ormai una certezza granitica nel panorama della produzione campana. Una Falanghina che con il tempo rilascia sentori di idrocarburi modulati dal frutto agrumato ancora integro. Al palato finezza ed eleganza, che non si impone ma esige attenzione. Buonissima e incredibile.
GRECO DI TUFO 2012 FONZONE
Ed ecco la prova della potenza dei bianchi campani. Un vino pensato per l’annata, ossia da consumare nel 2013, che dopo quattro anni conserva tutta la rusticità del Greco che tende a riprendersi il colore carico. Grande freschezza, sentori di cedro candito e di pasticceria, noté fumé a gogo e via con il vento.
FIANO DI AVELLINO 2009 MARSELLA
Vabbé, se trovate un Marsella stanco fatemi un fischio perché è un evento. Un campione che sembra uscito adesso dalla vasca, con le sue caratteristiche note fumé e di fungo, lungo, ampio, complesso, potente al palato, ancora in cerca del suo equilibrio. Un vino fuoriclasse e nessuno credeva che non conoscesse legno.
FALANGHINA TABURNO DOC 2009 FONTANAVECCHIA
Anche in questo caso una realtà ormai consolidata come dimostra la famosa 2001 di Libero Rillo. Qui parliamo di un bianco base che ha ancora tanta acidità da spendere e da rimporre. Sicuramente più monocorde del Fiano, ma in ogni caso una beva eccezionale sulla pasta con i carciofi.
PIETRAINCATENATA 2004 FIANO PAESTUM IGT MAFFINI
Spaventoso, ammaliante. Bevuto da Nonna Sceppa, ha conquistato il parterre di cuochi venuti da tutto il mondo per le Strade della Mozzarella.
CONCLUSIONI
In Campania come in tutte le regioni italiane si fanno grandi vini. Ma se i produttori di bianco punteranno decisi sull’invecchiamento in questo segmento pochi potranno competere e le bottiglie si potranno apprezzare restituendo reddito ad una viticoltura che raramente supera i 70 quintali per ettaro, spesso praticata in zone eroiche, ricca di manualità che gode della magnificenza dei vulcani.
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