di Giulia Gavagnin
I vitigni a bacca bianca più longevi – è noto- sono il Fiano di Avellino e il Verdicchio.
E il Timorasso.
Quest’uva autoctona dei Colli Tortonesi di difficile coltura, facile alla marcescenza –anche questo non è un segreto- è stata riscoperta e nobilitata da quel gran genio di Walter Massa, che ha avuto l’ardire di intuirne la nobiltà dietro l’apparente scorza dura e di renderla oggetto di culto.
Tra gli amici di Walter v’è Piercarlo Semino, coltivatore dal 1937 a Vho, a pochi km da Tortona. Nella sua azienda “la Colombera”, oggi di circa tredici ettari vitati, si coltivavano soprattutto il Cortese, la Barbera e qualche filare di croatina. Fortuna volle che da quelle parti capitò una disgrazia, di quelle che rendono più forti.
Intorno alla metà degli anni Novanta, quella dei Colli Tortonesi fu una delle aree più duramente colpite dalla flavescenza dorata che ridusse la produzione di quel periodo di circa il 40%.
Alcuni viticoltori si chiesero se fosse opportuno rimpiazzare il Cortese con un diverso vitigno, che in quegli anni poteva apparire un azzardo.
Piercarlo Semino, già coadiuvato dalla figlia Elisa nel 1997 decise di emulare l’amico Walter Massa e impiantò le prime barbatelle di Timorasso.
Oggi questo vitigno autoctono ha un successo difficilmente immaginabile quando sembrava solo un azzardo.
Secondo i dati del Consorzio dei Colli Tortonesi, oggi gli ettari vitati a Timorasso sono 395, con richieste di adesione sempre crescenti anche da parte di aziende fuori zona che stanno acquistando vigneti un tempo negletti.
Da tempo è in discussione presso gli enti competenti l’istituzione della sottozona Derthona che darebbe ulteriore risalto al vitigno per il quale Walter Massa ha profuso molti sforzi.
Ne abbiamo parlato con Elisa Semino nella sede di Civiltà del Bere a Milano, ma soprattutto abbiamo assaggiato il fiore all’occhiello della sua produzione. Il Montino la Colombera, uve 100% timorasso provenienti da un unico vigneto. Questa selezione nasce nel 2006 e sin da subito ha disvelato note peculiari di minerali e idrocarburo, rivelandosi potente ed elegante al tempo stesso.
Nella degustazione sono state presentate le annate 2021, 2020, 2019, 2017, 2015, 2013.
La caratteristica principale di questa selezione è la presenza di idrocarburo e di frutta bianca anche nelle annate più giovani, che nel corso del tempo acquisiscono sfumature speziate più o meno intense a seconda del lavoro effettuato dalla botrite (lo ricordiamo, il Timorasso va incontro a marcescenza che può generare un diverso lato della medaglia assai piacevole..) e, soprattutto, una rotondità gustativa tipica della grande attitudine all’invecchiamento.
Se la 2021 è già pronta da bere ma rimane citrina, il 2013 perde un po’ in acidità per acquistare un carattere di vino “quasi” da meditazione, con una vaga concentrazione zuccherina che ricorda alcuni grandi bianchi dell’ovest della Francia.
Questi vini sono un libro aperto con riferimento alle annate.
La 2017 è stata nefasta per il Piemonte, con la famosa gelata dell’aprile che ha bruciato le infiorescenze e ridotto la produzione: qui sono presenti soprattutto le note speziate e la concentrazione zuccherina appena accennata.
La 2015 che è stata calda, aumenta la percezione della frutta, soprattutto della mela.
Evidentemente, dove la botrite ha lavorato di più si sentono particolarmente lo zafferano, il miele, la scorza d’agrume. La 2013 in questo è un capolavoro perché sembra essere giunta a un perfetto climax, con note di sottobosco inaspettate.
Dopo questa mirabile lezione, tutti a Derthona Due.Zero il 6 e il 7 aprile a Tortona!
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