C’è un misuratore preciso, scientifico, per capire sin dove la psicologia istintiva meridionale riesce a spingersi egemone: le strisce pedonali. Dove l’automobilista si ferma sua sponte è finito il Sud. Il non dare la precedenza è talmente dentro il modo di essere di tutti noi che anche io quando lo faccio mi forzo e comunque mi bussano dietro, se non mi fermo non ho senso di colpa e, quando sono pedone, non realizzo perché nel resto d’Europa le auto mi lasciano subito passare appena mi metto sul ciglio delle strisce. Credo che sia l’aspetto più choccante per i turisti stranieri costretti ad attraversare le strade con la stessa tensione con la quale io potrei passare tra i cerchi di fuoco di un circo.
Non è che voglio fare un discorso da vecchia zitella, ma la non condivisione di una regola quotidiana che implica il rispetto della persona, violata da ciascuno decine e decine di volte al giorno, è lo specchio di una mentalità: passa prima chi è potente o chi, in caso di tozzo, si fa meno male. Ecco la cartina di tornasole di un modo di vedere le cose la cui conseguenza finale drammatica può essere la spazzatura nelle strade, oppure, ad esempio, la soppressione della Fiera Enologica di Taurasi.
Nelle ultime 48 ore ho ricevuto mail, sollecitazioni su Facebook, telefonate per chiedermi il motivo serio e profondo di una scelta tanto stupida. La risposta è semplice: non c’è.
Ovvero bisogna entrare nei neuroni e negli ormoni che compongono la mentalità individualista meridionale, secondo la quale tutto ciò che non è mio, tutto ciò che non mi riguarda direttamente e fisicamente, tutto ciò che è fatto da altri che non siano membri della mia famiglia, non mi può interessare e coinvolgere. Anche se ho una carica pubblica. Anzi, a maggior ragione.
I lettori colti potranno rileggersi il classico di Banfield, Il Familismo amorale, oppure studiarsi la storia elettorale del periodo giolittiano, assolutamente simile a quello attuale, con i capi bastone che cambiavano di continuo schieramento in Parlamento, proprio come avviene oggi.
In fondo in fondo, la questione meridionale si riassume in uno stato d’animo profondamente biologico e istintivo: l’assenza del comune senso di appartenenza. Se io non mi sento parte di una comunità, non ho motivo di rispettare le regole e se lo faccio è unicamente perché c’è qualcuno che mi può sanzionare. Ecco perché le feste del Santo Patrono sono così sentite al Sud, perché l’essere comunità è un sentimento trascendentale, astratto, riferito all’Aldilà e non all’Aldiqua. Espressione di rigurgiti pagani pre-statuali.
Questo modo di pensare si accentua ulteriormente negli ultimi anni con la fine della formazione partitica, la perdita territoriale delle parrocchie, la riduzione della Coldiretti da organizzazione capillare di massa ad annunciati Ansa sui consumi e le abitudini alimentari per occupare spazio del sabato nei pigri quotidiani italiani, la quasi estinzione della classe operaia, aggiungerei persino la polverizzazione di potere sociale della mafia e della camorra.
La fiera enologica
Tornando a bomba: non conta se una manifestazione fa dunque lustro al paese, promuove il territorio. Conta chi la organizza: sono miei nemici? Va distrutta. Punto. Distruggere quello che fanno gli avversari, non importa quanto buono e istituzionale, è la prima regola del potere meridionale così come continua a manifestarsi.
Questo è il motivo profondo per cui la Fiera Enologica è in crisi. Ed ecco anche perché l’Anteprima traballa ogni anno: perché nella mentalità degli amministratori locali l’esercizio e il controllo del potere quotidiano, quello delle pratiche e delle licenze, è molto più facile da dispiegare se non ci sono estranei in giro e riflettori mediatici accesi. La filosofia di quasi tutta la classe politica meridionale degli ultimi venti anni, al di là delle chiacchiere e dei convegni, si riassume nel quieta non moveat. In una parola, non hanno fiducia in un futuro migliore perchè nella loro testa hanno già fatto il grande salto: vivere senza zappare. Tutto sommato neanche un risultato minimo considerato che è una conquista delle ultime due generazioni, diciamo dagli anni ’70, dopo millenni di fatica. Vuoi mettere? Vivere senza lavorare più.
In queste comunità stanche e malate non c’è più il gusto di fare qualcosa che resti, ma solo di far schiattare il proprio nemico, colpirlo con gli effetti speciali. Ecco perché le amministrazioni locali si fanno agevolmente rapinare da starlette televisive e imbonitori: perché promettono loro la ricrescita dei capelli con una lozione a base di acqua. A loro resta la foto ricordo con la bonazza famosa mentre tagliano il nastro o abboffano le palle a un convegno, alla comunità niente, se non qualche ora di divertimento.
Alla luce di queste considerazioni potrei accettare la soppressione della Fiera con sovrana indifferenza se per farlo non avessero addotto motivazioni che offendono l’intelligenza di un ciuccio, che cioé la nuova legge non lo consente. Dimenticandosi di spiegare come mai in tutto il resto dell’Italia non è cambiato assolutamente nulla. Questo modo di porsi fa scattare la rabbia profonda e viscerale, il non perdono per questo omicidio antropologico. Sono per questo orgoglioso di aver bloccato sul nascere il tentativo di fare di Taurasi un caso nazionale per la nuova normativa che avrebbe offerto alibi a operazioni di bottega, ma mi batterò perché diventi esempio manualistico di cecità e ottusità umana, come i Taliban che distruggono i Buddha giganti, il popolo che salva Barabba, l’obbligo dello chador.
La Fiera era una bella cosa e coinvolgeva tutta la regione. Negli ultimi anni con il recupero del Castello aveva acquistato anche un tocco di eleganza che quasi trasformava i sudditi in citoyens. Su tavoli c’erano le migliori bottiglie, ed era piena di giovani e di persone rientrate come sempre succede in agosto in tutti i paesi del Sud. Su Facebook sono migliaia i fan del Taurasi, tutti giovanissimi, e i gruppi che vogliono il ripristino della Fiera hanno raccolto centinaia di adesioni in pochi giorni.
Ora tutto questo è finito. Per Taurasi, ma anche per me: sono profondamente e intimamente schifato.
Talmente nauseato che mi è passata la rabbia, e chiedo pacatamente agli assassini: come pensate di avere futuro se opprimete i giovani e togliete loro le speranze?
“El sueño de la razón produce monstruos.” F. Goya
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