di Carmen Autuori
La fame e la morte sono le più grandi paure che, da sempre, hanno afflitto l’umanità, e proprio per esorcizzare quest’ultima ogni regione del Belpaese ha un piatto di rito, dalla forte valenza simbolica, dedicata al giorno dei morti.
Ciò è legato all’antica credenza popolare secondo la quale, nella notte tra l’1 ed il 2 novembre, i defunti tornano dall’aldilà affrontando un viaggio lungo e faticoso che li separa dal mondo dei vivi. Per questo, nella maggior parte delle famiglie, le tavole vengono imbandite con determinati cibi per offrire ristoro ai propri defunti. In pratica sembra che le anime del Purgatorio abbiano un periodo di tregua dalla penitenza che inizia alla vigilia del due novembre per terminare all’Epifania.
In occasione di questa ricorrenza, da Nord a Sud, non possono mancare alcuni cibi che racchiudono il senso della rinascita. In primis i legumi, specialmente le fave, e qui è evidente la correlazione con il cibo preparato durante le feste Antesterie degli antichi greci, in onore di Dioniso, riprese anche dai Romani che reputavano le fave sacre ai morti. L’usanza di cibarsi di legumi ha resistito anche nei monasteri dove si svolgevano le veglie di preghiera alla vigilia della commemorazione dei defunti e si distribuivano legumi cotti ai poveri. Poi il grano simbolo di fertilità ma soprattutto di morte e risurrezione, come nei Sepolcri e, infine la frutta secca, da sempre considerata il cibo che unisce il mondo dei vivi con quello dei morti, non a caso la stessa è sempre presente anche sulla tavola natalizia, in quel periodo che, secondo la credenza popolare, è sospeso tra vita e morte.
Tra quelli più comuni ci sono il Pan dei morti, a base di biscotti secchi, vinsanto, nocciole, fichi secchi in uso soprattutto in Lombardia, mentre in Toscana troviamo il Pan co’ Santi a base di uvetta, noci e pepe. Spostandoci nel Lazio, e in genere nel centro Italia, scopriamo le Fave dei morti, dolcetti a base di albumi e mandorle.
In Campania, invece, il dolce tipico che non può mancare il 2 novembre è il torrone La nostra regione ha una lunga storia legata a questo dolce che risale all’epoca romana. Però il torrone dei defunti è diverso da quello classico trattandosi di un torrone morbido, detto anche Torrone Muollo, a base di crema di cioccolato arricchita da nocciole, caffè, frutta candita, pistacchio e tanto altro; il tutto racchiuso in uno scrigno di cioccolato fondente che, pare, simboleggi la scura terra che avvolge e racchiude la dolce anima del caro congiunto passato a miglior vita.
Inoltre è consuetudine che, in quest’occasione, i fidanzati regalino alla propria innamorata un vassoio di torroncini di tal forma accompagnato da una frase d’ amore. L’usanza nasce a Castellammare di Stabia e da lì ben presto si è diffusa in tutto il napoletano.
Fino a pochi decenni fa – ancora nel 1975 – a Napoli resisteva l’usanza che vedeva i bambini, muniti di ‘cascettella’, salvadanai in legno a forma di bara, nel giorno dei morti andare per le strade a raccogliere soldi per i ‘morticielle’, ma che in verità erano destinati all’acquisto di dolcetti e ‘cunfettielle’. La questua, una sorta di ‘dolcetto o scherzetto’ in chiave nostrana, era accompagnata da questa filastrocca:
Signurì… ‘e muorte!
Sott ‘a péttola che nce puorte?
E nce puorte ‘e cunfettiélle…
Signurì… ‘e murticiélle.
In Basilicata, come pure in molte zone del Cilento, si è soliti consumare zuppe a base di legumi, soprattutto ceci. La tradizione vuole che questo piatto, oltre ad essere lasciato sulla tavola per tutta la notte che precede la commemorazione dei defunti, venga offerto ai più poveri per ‘rinfrescare’ l’anima dei morti.
Si perdono tra storia e leggenda le origini del dolce pugliese preparato in occasione del giorno della commemorazione dei defunti. Il grano dei morti o Cicc cuott, così chiamato proprio per la ricorrenza a cui è legato, è una specialità diffusa specialmente nella provincia di Foggia. Gli ingredienti, grano, noci, melagrana, frutta candita, spezie e vino cotto, sono un chiaro riferimento alla mitologia greca ed in particolare al mito di Kore o Persefone (nota in epoca latina come Proserpina), figlia di Zeus e della dea delle messi Demetra (Cerere nella mitologia latina), che venne rapita da Ade per aver mangiato sei chicchi di melagrana e trattenuta nel regno dell’oltretomba dal quale poteva tornare solo per sei mesi all’anno garantendo, così, il rinnovarsi delle stagioni e del ciclo della vita.
In Sicilia non può mancare il ‘Cannistru’, un cesto in vimini, particolarmente atteso dai bambini, che contiene pupi ri zuccaro (bambole di zucchero) preparate unicamente con lo zucchero e dipinti a mano; ossa ri mortu, biscotti a forma di tibie umane; oppure i frutti di Martorana, preparati con farina di mandorle e zucchero. La tradizione siciliana prevede anche un particolare tipo di pane, la muffuletta, una pagnottella condita con sale, pepe, origano, filetti di acciuga e formaggio primo sale, che viene consumata a colazione il due novembre prima di recarsi al cimitero. Insomma ogni regione ha il suo piatto simbolico per onorare i defunti. Noi vi lasciamo la ricetta del grano cotto, un gustoso dessert al cucchiaio, di facile preparazione, che può essere consumato tutto l’anno.
Cicc cuott
Ingredienti per 4 persone
250 g di grano tenero meglio se varietà bianchetta
75 g di noci sgusciate e spellate
75 g di mandorle sgusciate e spellate
1/2 melograno (chicchi)
100 g di cioccolato fondente
Canditi
1 cucchiaino di cannella
Vino cotto
Procedimento
Lavare accuratamente il grano e porlo in una capace casseruola in almeno un litro d’acqua fredda,portare ad ebollizione, abbassare la fiamma e far cuocere, coperto, per almeno 45 minuti. Una volta cotto lasciarlo raffreddare completamente, meglio se tutta la notte. Tostare i gherigli delle noci e delle mandorle e tritarli grossolanamente con un coltello. Lasciare qualche gheriglio intero per la decorazione. Sminuzzare il cioccolato fondente. Scolare il grano e condirlo con il cioccolato, la frutta secca, i chicchi di melograno, la frutta candita tagliata a cubetti, la cannella. Suddividere in coppe monoporzione e, solo al momento di servire, aggiungere il vino cotto.
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