In attesa di Vitigno Italia, non possiamo non parlare dell’autoctono più spudorato di tutta la Campania, in espansione in Puglia e in Basilicata dopo aver colonizzato il Molise. Strano destino, l’uva bianca rilanciata da Leonardo Mustilli, Gennaro Martusciello e Angelo Pizzi: prima alfiere dell’affermazione su tutte le tavole della produzione regionale, poi in bilico verso la tragedia della banalizzazione e, diciamolo pure, della contraffazione, infine la ripresa papillosa. Ho conosciuto Acquamara proprio nella prima edizione di Vitigno Italia, Antimo Esposito esordiva usando il terroir di Roccamonfina come surf, straordinari bicchieri di Aglianico, Falanghina e un po’ di Aleatico voluti da Prattico, Telaro, ora da Poderi Foglia e naturalmente Galardi. Immediatamente la potenza dell’uva bianca, parliamo del tipo beneventano, si impose con la ricchezza di profumi, la struttura, l’alcol, la capacità di stupire con la sua sapidità e mineralità. Da allora sempre meglio, tanto da inserirlo come new entry nelle bottiglie dell’Arca nella Guida completa ai vini della Campania. Al Parker per la degustazione Enohobby, ennesima conferma, provata coperta. Alle spalle di questa impresa non c’è il solito contadino che piglia a imbottigliare sull’onda del successo e della domanda di vino campano, ma una grande azienda di 300 ettari sulle colline di Rocca d’Evandro, proprietà insolita per lo spezzettato possesso della terra da queste parti, origine terragna della psicologia dell’individualismo incapace di fare squadra. Di questi, poco meno di trenta sono coltivati a vigneto, per il resto si parla di castagne, olive, noci, seminativo, quattro laghetti e un po’ di bosco. Questo bianco nasce dal sodalizio tra Maurizio De Simone e il giovane Antimo, impegnato nella proprietà acquistata nel 1988 dai genitori con Massimo Capuano e Salvatore Scudiero. L’enologo dei Campi Flegrei è nato tra le foglie di Falanghina ed è a suo agio anche con quella beneventana: il giallo paglierino carico rivela buon lavoro di concentrazione in vigna e lo scarso uso di chiarificanti, il vino viene solo filtrato: la 2006 è una esplosione di sensi, la conferma della buona annata riscontrata un po’ ovunque nei primi assaggi, dall’Alto Casertano al Vulture, anche in Puglia, soprattutto quando la vendemmia è stata fatta a ottobre: ricca di carattere, marina, l’abbiamo ai piatti di mare ben strutturati, alla genovese di tonno di Pasquale del Convento di Cetara o al dentice al forno con patate del Savoy Beach di Paestum. Conservarla, conservarla: vi stupirà con i suoi effetti speciali nel corso di molti anni perché ha vita lunga da raccontare.