La Domenica delle Palme

Pubblicato in: La stanza di Carmen
Domenica delle palme- i confetti

di Carmen Autuori

E’ tutto un intreccio di fede e tradizione la Settimana Santa qui nel dud Italia, tradizioni che spesso mantengono un sostrato pagano dato che affondano le loro radici nella notte dei tempi e, in sintesi, riportano ai riti propiziatori di rinascita della natura.

Anche la Domenica delle Palme, che dà inizio al periodo pasquale con il tradizionale scambio di ramoscelli d’ulivo in segno di pace, è tutta permeata da una ritualità antichissima che si riflette oltre che nelle varie funzioni anche a tavola con la preparazione di piatti e dolci tipici.

A tal proposito, oggi intraprenderemo un “viaggio” partendo dal mare, precisamente dalla Penisola Sorrentina, passando per la Piana del Sele fino ad arrivare nel Cilento e nel Vallo di Diano, ai confini con la Basilicata.

Singolare è lo scambio di palme di confetti in uso a Sorrento e nei paesi limitrofi, le cosiddette Palmine. Sono realizzazioni artigianali, in genere a forma di fiore, ad opera delle donne che si riuniscono nelle case per realizzarle tutte insieme. L’antica tradizione risale ad una leggenda, quella di un pescatore sorrentino che si era innamorato di una ragazza saracena salvata da un naufragio. La donna in segno di ringraziamento, portò in chiesa, il giorno della Domenica delle Palme, dei confetti che teneva custoditi in un sacchetto e prostrandosi ai piedi dell’altare dichiarò di voler abbracciare la fede cristiana. Sempre a Sorrento (fino a qualche anno fa un po’ in tutta la Campania) c’è l’usanza di addobbare i rami d’ulivo. Qui sono particolarmente caratteristici perché, oltre che con i confetti, i rami vengono decorati con piccoli caciocavalli e in questo periodo le latterie offrono un tripudio di caciocavalli di ogni forma e stagionatura che verranno consumati dopo essere stato benedetti in chiesa.

Nella zona dei Picentini e nella Piana del Sele, in particolare ad Eboli,antico ed importante comune al centro della Piana, è usanza ancora diffusa addobbare le palme con i taralli nasprati (ma anche con quelli salati) che poi saranno consumati come dessert del pranzo delle Palme.

Questo perché con la sua forma circolare il tarallo ricorda un serpente che si morde la coda, l’uroboro, che per gli antichi greci rappresentava la natura ciclica delle cose, un segno mistico di rinascita e dunque benaugurante per la prosperità del futuro raccolto.

Di magnifici fino a qualche anno fa ne producevano le monache benedettine del locale convento di clausura ed era usanza tutta ebolitana rifornirsi di questo dolce il sabato che precede la Domenica delle Palme.

L’ultimo baluardo di questa bellissima tradizione è Ninetta Perrotta che, nella sua storica pizzeria “Antico Forno Perrotta” (ne abbiamo già parlato su questo blog), continua a produrre taralli di ogni foggia e gusto: salati al finocchietto, dolci con il naspro, dolci “nudi”, di pasta panettone, in sostanza taralli schiacciati fatti di una pasta che ricorda il pan di Spagna ma più tenace e poi  il “Panariello”, un grande tarallo di pasta frolla con al centro un uovo ingabbiato da strisce di frolla e decorato con gli immancabili confettini colorati.

Fino agli anni Cinquanta era usanza scambiarsi i rami d’ulivo così addobbati  soprattutto tra suocera e nuora, forse a suggellare una pace mai troppo scontata tra le due.

Spostandoci  nel Cilento, Giovanna Voria, ambasciatrice della Dieta Mediterranea e custode delle più antiche tradizioni,  in questo giorno propone a Corbella,  il suo agriturismo, l’antica pizza dolce di riso in tre versioni.

La base è sempre di pasta frolla mentre il ripieno può essere bianco, in sostanza riso, albume montato, cacio ricotta di capra, zucchero, scorza di limone ed un goccio d’anice oppure giallo, in questo caso gli ingredienti rimangono gli stessi tranne l’uovo che viene usato intero. C’è poi una versione più moderna arricchita da gocce di cioccolato fondente. Tutte vengono decorate, prima di essere infornate, da foglie di ulivo benedette, conservate dall’anno precedente, in segno di benedizione per il nuovo raccolto. Spostandoci invece nell’alto Cilento, a Montano Antilia, Lucia Giannattasio dell’agriturismo Ai Monaci, un’altra custode delle tradizioni cilentane più autentiche, ci racconta di un antichissimo dolce, una sorta di raviolo farcito con ricotta di capra, scorza di limone, cannella e miele che faceva da apripista ai dolci di Pasqua. In omaggio alla sua mamma  questo dolce viene ancora realizzato e proposto agli ospiti nella settimana santa.

Nel Vallo di Diano il piatto che non può mancare sulla tavola della Domenica delle Palme sono i palmarieddi chiamati anche parmarieddi  a seconda del paese in cui vengono realizzati. Si tratta di pasta di farina di grano duro cavata con il palmo della mano, da cui il nome, e condita con un succulento ragù di carne.

Questo piatto dalla forte simbologia lega il suo senso profondo al grano, come ci racconta Giuseppe Aromando, appassionato e studioso della storia e delle antiche tradizioni della sua terra. Un segno di buon auspicio la cui preparazione svelava le sorti del raccolto nella successiva mietitura. Infatti, secondo la tradizione, quanto più lungo era il palmarieddo tanto più ricche di chicchi sarebbero state le spighe di grano. Lo stesso palmo della mano ha un alto valore simbolico in quanto è inteso come unità di misura del grano ed inoltre è lo stesso palmo della mano che si intreccia con il ramo d’ulivo che verrà benedetto durante la funzione religiosa che, al di là del valore spirituale, è esso stesso simbolo di abbondanza.

Oltre al nome c’è una differenza di forma: il parmarieddo corrisponde ad un tipo di pasta che si realizza schiacciando e tirando i pezzi di pasta verso l’esterno, una sorta di bigolo mentre i palmarieddi corrispondono ad un pezzo di pasta incavato con le quattro dita della mano e dunque più allargato.

Ma attenzione, i palmarieddi non ricordano l’ulivo, come si potrebbe banalmente essere portati a credere e quindi la festa delle palme, in realtà è un piatto propiziatorio che rimanda alla futura abbondanza del raccolto da cui dipendeva il benessere di tutta la famiglia.

Fino a qualche decennio fa, sempre nel Vallo di Diano, proprio in occasione della Domenica delle Palme si ufficializzavano i fidanzamenti con l’invito a pranzo della famiglia dello sposo a casa di quella della sposa. In quella occasione veniva regalato l’anello di fidanzamento legato ad un ramo d’olivo riccamente addobbato con confetti, nastri e fiori. E tra trepide attese e sospiri d’amore venivano serviti i succulenti palmarieddi, i veri protagonisti della tavola.

Palmarieddi

Ricetta di Luciano Petrizzo

Per la pasta

1 kg di farina di grano duro

1 pizzico di sale

Acqua

Per il condimento

2 l di passato di pomodoro

1 cipolla di San Pietro al Tanagro

500 g di carne macinata

1/2 bicchiere di vino rosso

Ricotta salata

Olio evo

Sale

Procedimento

Preparare la pasta disponendo sulla spianatoia la farina con un pizzico di sale. Versarvi l’acqua e impastare fino ad raggiungere una consistenza soda ed elastica. Avvolgere in un canovaccio e lasciar riposare per almeno 30 minuti. Stendere la pasta formando dei cilindri lunghi 7/8 centimetri, cavarli con il palmo della mano e porli ad asciugare.

Preparare il sugo soffriggendo la cipolla tagliata sottile in un abbondante giro di olio evo. Aggiungervi la carne, sfumare con il vino e versarvi la passata di pomodoro, salare e lasciar cuocere per almeno 3 ore a fuoco dolcissimo. Lessare la pasta in abbondante acqua salata, scolarla e condirla con il sugo. Versare in una zuppiera e cospargere con abbondante ricotta salata grattugiata.

 


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