In questo week end è stata spillata a Cetara la nuova annata. Sul Mattino di oggi ripercorriamo la storia del successo di questo condimento, spieghiamo cosa è e come si fa, presentiamo la ricetta basic e ricordiamo i protagonisti di questo piccolo grande miracolo del gusto.
Mettiamola così: sino a vent’anni fa la colatura di alici non aveva alcun valore commerciale. Poteva essere barattata con olio, salumi, formaggi, pesci o regalata al vicino per sdebitarsi di qualche favore avuto nel corso dell’anno.
Oggi il suo prezzo sorgente varia da 60 a 80 euro a litro, a seconda della disponibilità e del procedimento di lavorazione. Ecco perché Cetara la festeggia ogni anno a dicembre. Proprio ieri è stata ufficialmente spillato il millesimo 2012. Tutto cambia quando all’inizio degli anni ’90 Gennaro Castiello e Gennaro Marciante sdoganarono per primi la colatura di alici in un locale pubblico, l’Acquapazza, facendola conoscere al grande pubblico anche fuori Cetara.
Beh, più che altro erano solo due tavoli ricavati in un ex deposito di attrezzi da pesca e una cucina a vista perché non c’era spazio. Ma come, gli chiedeva lo zio incredulo, la gente davvero paga per mangiare la colatura? In un lampo il prodotto diventa l’emblema del paese fuori dal paese, adottata dagli altri bei locali cetaresi, Al Convento, La Cianciola e il San Pietro: un boom sigillato dalla nascita della Confraternita delle Alici e soprattutto dal presidio Slow Food creato nel 1998 su pressione di Vito Puglia che vide Secondo Squizzato, l’attuale sindaco, diventare referente.
Da allora la colatura ne ha fatta di strada, entrando prima nei ristoranti della Costiera, poi in quelli della Campania, infine in gran parte d’Italia. Già, perché la colatura di alici è un salsa, che gli studiosi come Ezio Falcone ritengono erede moderno del garum romano, ma è anche e soprattutto un grande esaltatore di sapore, può sostituire il sale, si lega a legumi, carni, ortaggi e pesci. Piano piano si è scoperta la funzione di esaltatore di sapore.
Provatene a mettere un cucchiaio nella zuppa di lenticchie, tanto per fare un esempio, e scoprirete gli effetti benefici sul gusto. Il procedimento adottato è molto laborioso. Una volta pescate a maggio le alici vengono accuratamente pulite e decapitate a mano (scapezzate) e tenute per circa dodici ore in un recipiente colmo di una miscela di acqua e sale (inzuscate), detta increscatura.
Le alici vengono poi disposte a strati con la classica tecnica «testa-coda» in barili in rovere, chiamati terzigni (un terzo di botte), e salate con sale grosso asciutto. Prima di lasciare “maturare” le alici sino al mese di dicembre, sui barili sono posti dei dischi in legno (tompagni) sul quale si collocano dei pesi (pietre marine). In questo modo si consente la fuoriuscita del liquido. Per le prime 48 ore si esercita una pressatura maggiore, quindi si passa a livelli di pressione inferiore.
Il liquido, per effetto della pressatura e della maturazione delle acciughe, comincia ad affiorare in superficie. Mentre nel normale processo di conservazione delle alici viene prelevato ed eliminato, diventa la base per la colatura. All’inizio di novembre tutto è pronto per l’ultima fase del processo: il liquido raccolto e conservato viene versato nuovamente nel terzigno ove le acciughe erano rimaste in maturazione. Attraversando i vari strati (colando), ne raccoglie il meglio delle caratteristiche organolettiche, fino ad essere recuperato, attraverso un apposito foro praticato nel terzigno con un attrezzo detto «vriale» e trasferito in altro recipiente. Da qui può essere filtrato con l’utilizzo di appositi teli di lino, i «cappucci». Poi si lascia poi riposare sui davanzali delle finestre al sole.
Il risultato è un distillato limpido di colore ambrato carico, dal sapore deciso e corposo di cui non potrete fare più a meno.
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