di Marco Contursi
Quasi al confine con la Basilicata c’è un paese, san Giovanni a Piro (ma ne troviamo tracce anche a Camerota, Roccagloriosa e Centola), che ha riscoperto un salume antico: la Cicola, ed oggi, si è in attesa del riconoscimento del marchio PAT al prodotto, obiettivo a cui sta lavorando, con passione e zelo, il Dottor Edoardo Grieco, dirigente veterinario presso l’ASL di competenza del territorio.
Ma cosa è la cicola? E’ un salume cotto, pressato, che varia di profumo e sapore, a seconda delle carni con cui lo si fa, della percentuale di grasso aggiunta, di quanto tempo questa carne venga fritta nella sugna, e degli aromi naturali aggiunti. Tradizionalmente si produce nel periodo dell’uccisione del maiale, che va da novembre a febbraio. Nei paesi intorno al Monte Bulgheria è ancora viva la tradizione di allevare ed uccidere un maiale per famiglia, in quello che è un vero e proprio momento di festa. Si realizzano quindi, pancette, soppressate, capicolli e la cicola.
Ma vediamo come viene prodotta. Dopo l’uccisione del maiale, la carcassa viene divisa in mezzene, e quindi spolpata e le parti nobili, filetto, prosciutti, lombo, pancetta, vengono impiegate per fare i tradizionali salumi cilentani, soppressata in primis.
La Cicola è invece un salume, derivante dalla mescolanza del sottoprodotto della lavorazione della sugna (cicoli) e dalla carne di maiale cotta.
Detta carne proviene dalla testa e dalla carne che rimane dal non completo spolpo delle ossa di tutta la carcassa, ridotta in pezzettini ed con una minima parte di cotenna sgrassata a cui viene aggiunto il sale, poi variamente aromatizzata, a seconda della ricetta e quindi del paese di origine, solo con finocchietto selvatico, oppure con finocchietto selvatico e pezzettini di bucce di mandarino e/o arancio.
Il processo produttivo prevede la cottura, in due pentole separate, solitamente in alluminio. In una, viene cotto il grasso ridotto a pezzi di varie dimensioni, orientativamente dai 2 ai 3 cm x 1 cm, soltanto con una modica quantità d’acqua di partenza per evitare che il grasso, nelle prima fasi della cottura, si attacchi al fondo della pentola. Durante la cottura il grasso viene costantemente mescolato con un caratteristico “bastone” di legno, sempre al fine di evitare che si attacchi al fondo ed alle pareti della pentola.
I tempi di trattamento termico, dipendono dalla quantità di materia prima utilizzata e dal grado di “cottura” che si vuole raggiungere, ma comunque non sono mai inferiori ai 30 minuti. La cottura del grasso continua fino a che i “lardelli” grosso modo si dimezzino di dimensioni e diventino di un colore giallo dorato (biondi) e contemporaneamente dallo scioglimento del grasso si produca la sugna, detta “zugna”.
Come si fa la Cicola
Nell’altra pentola, in abbondante acqua, si pone a lessare la testa intera o spaccata a metà, per facilitarne la cottura stessa, gran parte delle ossa della carcassa, con ancora attaccata la carne derivante dal suo non completo spolpo, ed un po’ di cotenna. In particolare la cotenna non viene utilizzata da tutti i produttori, ma dipende dal gusto personale; comunque la cotenna, quando usata, è considerata un ingrediente della ricetta tradizionale. I tempi di cottura non sono ben definiti e, come nel caso del grasso, dipendono dalla quantità di materia prima di partenza; ma orientativamente non sono mai inferiori alle due ore. Durante la cottura della carne, poiché in superficie si forma della schiuma e si raccolgono piccoli residui proteici e di grasso, con una schiumarola ogni tanto si procede ad allontanare questi residui. La carne, per valutare se è cotta a sufficienza, si assaggia e si verifica se si stacca facilmente dalle ossa e dalle cartilagini. Dopo la cottura della carne, nel modo più celere possibile, si procede alla porzionatura della stessa in pezzettini di forma e dimensioni varie, facendo particolare attenzione ad allontanare pezzetti d’osso, cartilagini, ecc.
A fine cottura del grasso, si procede a separare con apposito colino, la parte liquida, rappresentata dalla “zugna” (strutto) che viene conservata in vasetti di vetro, per poi essere utilizzata in cucina, come ingrediente di varie ricette, in particolare di dolci, oppure per conservare i salami, cosiddetta “soppressata sotto la sugna”.
Il grasso cotto che rimane è rappresentato dai cicoli, quindi a questi si aggiunge la carne mondata, sale fin quanto basta, preventivamente sciolto in acqua, per assicurare una più uniforme distribuzione nell’impasto, e finocchietto selvatico in abbondanza. In genere nella produzione del comune di San Giovanni a Piro e Centola, non si aggiungono altri aromi, mentre nei comuni di Camerota, soprattutto frazione Licusati, e Roccagloriosa è usuale aggiungere anche pezzettini di bucce di mandarino e/o arancia. Una volta mischiati i due ingredienti principali nella stessa pentola, si continua a rimescolare attentamente a fuoco piuttosto vivace, mediamente per altri 3-5 minuti, in modo da amalgamare bene la miscela ottenuta. Immediatamente dopo si trasferisce il tutto in un piccolo torchio, artigianalmente ed appositamente costruito, con il quale si pressa, in modo da far fuoriuscire la parte liquida. Detta parte liquida è rappresentata sempre dalla “zugna”, che però avendo caratteristiche diverse da quella recuperata prima, perché è salata e con piccoli residui di finocchietto, carne e grasso, viene solitamente utilizzata per condire il pane o il pane tostato (bruschette). Il torchio, costruito artigianalmente, è costituito da una base di legno appositamente sagomata, solitamente di ulivo, da un contenitore in lamiera o acciaio, da un coperchio in legno, anche esso d’ulivo, e da una struttura che mantiene il tutto in metallo o acciaio. La pressatura viene poi interrotta quando dai piccoli buchi della parete del torchio comincia ad uscirne la parte solida. Il predetto torchio a San Giovanni a Piro viene chiamato “ciculera”, mentre negli altri tre comuni “trappitieddu”. Dopo la completa pressatura, il torchio, viene mantenuta fino al giorno dopo al fresco, quindi si sforma e si ottiene il prodotto finito, che si presenta sotto forma di cilindro più o meno grande, a seconda della quantità di materie prime utilizzate, pronto per essere consumato. Il prodotto finale si presenterà, prima di venire affettato, di forma cilindrica, di colore grigio con lardelli dorati, e con un profumo peculiare di carne cotta e finocchietto selvatico, caratteristiche organolettiche che ritroviamo anche alla prova palatale, come da degustazioni ufficiali compiute con l’ausilio del panel test di ONAS Campania. Ottimo companatico del gustoso pane locale da farine carosella e saragolla, la cicola si abbina bene a verdure, anche selvatiche (cardilli, cicoria, borragine), ed uova, come da tradizione contadina dei paesi in cui viene prodotta. Interessanti gli esperimenti compiuti da alcuni ristoranti di un suo utilizzo sulla pizza, sulla bruschetta e all’interno della scamoscia (o viccio), insieme ad altri prodotti locali quali la mozzarella nella mortella, il cacioricotta di capra, e i fichi bianchi del Cilento. Si auspica che il riconoscimento alla cicola del marchio PAT possa aiutare a farla conoscere ad un pubblico non solo locale e ad implementarne la richiesta da parte dei consumatori, anche per scongiurarne la scomparsa, essendo oggi prodotta a livello familiare e da pochissime (2-3) macellerie della zona.
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