La Caravella di Amalfi, il ritorno degli scialatielli e i nuovi piatti di Antonio Dipino

Via Matteo Camera 31
Tel.089.871029
www.ristorantelacaravella.it
Sempre aperto, chiuso il martedì. Ferie a gennaio e novembre

Siamo stati di recente alla Caravella di Amalfi, prima stella Michelin della Campania. Ma è buon auspicio una visita a inizio stagione e così è stato, dopo una Pasqua ricca e ben movimentata.

Il locale di Antonio Dipino è un grande classico della cucina di mare, un posto dove i piatti della tradizione sono costantemente aggiornati con note tecniche, prodotti, accostamenti: ogni ricetta è pensata molto a lungo. Un laboratorio in corso da decenni, dal quale si può dire che è nato tutto.

Già lo Champagne è indicativo: mentre Selosse sta già passando dall’avanguardia alla massa, Beaufort è ancora una nicchia in Italia. Ma la sua presenza in carta non è una stravaganza: Antonio e il cognato Tonino curano la carta da vent’anni e hanno creato una delle più belle e aggiornate cantine del nostro Paese, un settore che cammina da solo grazie alle cambuse delle ricche barche ormeggiate in porto e alla clientela che non ha altro problema se non la scelta. Essere qui è un must per qualsiasi azienda vinicola e non sono pochi gli episodi di ingenuità commerciali di alcuni produttori che Antonio mi racconta: come quella di chi portò il suo Fiano qui e poi alla salumeria accanto, o l’altra che gli scrisse di un pagamento tramite assegno circolare e non bancario. I prodotti della Campania sono eccezionali, ma la maturità commerciale è nella maggioranza delle cantine è da analfabeti mi ripete Tonino: ritardo dei tempi, difficoltà di reperimento, ignoranza totale della geografia e della gerarchia gastronomica.

Ma veniamo a noi: già il raviolo fritto con ricotta e pomodoro indica la linea di questa stagione. Di fronte alla crisi la Caravella si arrocca con i suoi grandi piatti della tradizione amalfitano-partenopea nei quali si trova sapore, sapore,e ancora sapore. Pulizia, grandi prodotti e tecniche molto studiate.

C’è poi sempre il guizzo: tutta l’Italia fa crudo? Ecco la citazione con il biscotto di Agerola, la colazione dei pescatori, con lo straordinario olio della Torretta di Battipaglia, qui acquistato solo in bottiglia anche per cucinare.

C’è poi il divertimento puro, aprescindere dal sapore, come questa mortadella di gamberi che cita il cocktail  di gamberi con la salsa rosa del papà Franchino che faceva impazzire il jet set internazionale.

 

Un segno di rivendicazione del grande passato sono gli scialatielli, nati proprio in queste cucine alla fine degli anni ’60 da una intuizione di Enrico Cosentino, il papà di quasi tutti gli stellati italiani. Era una pasta senza nome, pensata soprattutto per un sugo robusto di salsicce, poi un cliente disse: mi sono scialato e nacque l’idea. Un vero e proprio successo, qui presentato con una non meno intensa e robusta salsa di zucca velocizzata dal tonno crudo. Goloso e appagante.

Torna anche il risotto alla pescatora, il must dei ristoranti negli anni ’70 quando la borghesia italiana cominciò ad uscire fuori di casa. Qui abbiamo tre cotture, la preparazione del fondo per il risotto, con la successiva eliminazione dei crostacei, poi l’aggiunta nella parte finale della mantecatura e infine a crudo nel piatto. L’intensità del sapore è davvero straordinaria. Qui è stato usato vialone nano.

 

Divertente anche la pizzella di tonno, una sorte di quiche amlafitana molto saporita.

 

Torna la cottura in foglia di limone, che qui ha l’apoteosi con lo spada. In questo caso c’è il pollo di un contadino della vicina Tramonti, davvero squisito.

 

Classica, infine la pasticceria, con il sorbetto al limone, la zeppola fritta e le melanzane al cioccolato, nate quasi certamente in un convento della Costiera.

 

 

La visita alla Caravella è un po’ come quella che uno studente di archeologia può fare al Partenone: siamo all’origine della possibilità della cucina campana di essere capita fuori dall’ambito folklorico, della capacità di fare ristorazione e accoglienza. Un viaggio nella memoria, insomma, che ha superato il mezzo secolo e che ha un presente ancora vibrante e creativo. Imperdibile.


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