Sicuramente in Campania non si fanno i vini più buoni del mondo. Ma, altrettanto certamente, alcuni dei vigneti più belli del mondo: Frassitelli a Ischia, Certosa di San Martino in città, Scala Fenicia a Capri, Furore, Raito, San Giovanni a Punta Tresino per citare i più clamorosi.
E adesso questo di San Vito vicino Capodorso, a Maiori in Costa d’Amalfi.
Il motivo di questa bellezza è nella prospettiva diversa con cui si guardano le vigne e il paesaggio: verticale e non orizzontale. In più bisogna aggiungere la cornice del mare che si fonde con il cielo all’orizzonte. Infine la suggestione, questa mentale non estetica, dell’incredibile contesto storico in cui avviene questo recupero, che non ha eguali.
E, infine, il dato che la bellezza mozzafiato coincida con una biodiversità unica, non estentata, ma semplicemente ritrovata.
Per coltivare questi territori bisogna andare contro ogni principio economico, ribadire che la cultura e la forza di volotnà sono dei motori ben superiori alla legge del profitto e alla voglia di guadagno facile. Le secondo portano sempre ad una abbassamento della qualità dei prodotti e dei servizi, le prime restano scolpite nella storia agricola del paesaggio.
Volete mettere la faciltà di coltivare meccanicamente un vigneto a spalliera in pianura piuttosti che lavorare manualmente questi alberelli o queste viti a terrazzo dove non c’è altra possibilità?
Per questo motivo dietro a ogni impresa del genere c’è una storia da raccontare. La cosa più bella che si trova in un bicchiere di vino. Quella di Rafaele Palma ci narra di un imprenditore nato a Giugliano in Campania che, dopo una vita intersaa trascorsa a commerciare legno in tutto il mndo, ha deciso di piantare le proprie radici su questa collina da cui si domina Maiori, il comune più grande della Costiera Amalfitana per produrre olio, limoni e vino. Naturalmente olio dop Colline Salernitane, limone sfudato dopo amalfitano e doc, tutto in regime biologico.
In questa impresa è affiancato da Vincenzo Mercurio, ex enfant prodige ormai entrato nella maturità e che per questo non smette di aggiornarsi in continuazione.
L’azienda è una sorta di tesi di laurea per studenti di agraria: muretti lavorati a mano, ripresi o costruiti, sistema idrico di vasche, ottimizzazione dell’uso dei preparati biologici, un labirinto di terrazzi che scavalla la collina e da cui si gode ogni volta uno scenario diverso: mai dritto, in su o in giu.
L’impresa è iniziata nel 2005, quando Raffaele Palma ha iniziato a comprare il terreno: non c’erano viti, ma solo bosco che ogni tanto andava bruciato d’estate con fiamme spaventose. Pezzodopo pezzo tutta l’azienda ha preso la forma che è possibile ammirare oggi.
Tra piante antiche e macchia, favorita da una vicina sorgente, si è creato anche un campo sperimentale d’intesa con la regione per studiare diversi cloni di sfusato. Questa zona per tutto ‘800 è stata una delle principali aree di produzionee smercio di limone, l’agrume portato dagli arabi che accompagnava le flotte della Repubblica Marinara. Un commercio poi andato in crisi prima con l’immissione del mercato dei limoni siciliani e poi con quelli di altri paesi meeiterranei. Un cultura che ha raggiunto il punto più basso negli anni ’80 per poi riprendersi grazie al boom del limoncello e dek riconoscimento dop grazie al quale è stata riqualificata la produzione consentendo un riposizionamento nuovo sul mercato.
Una storia esemplare della strada che tutta l’agricoltura italiana è obbligata ad imboccare. E’ così che i terrazzamenti dei limoni, riconoscibili per le reti nere, riescono ancora oggi a caratterizzare il paesaggio della Costiera.
La cantina è molto piccola, la lotta con lo spazio è l’terno problema di chi lavora nella terra delle Sirene. Ma basta per lavorare l’uva dei cinque ettari vitati a biancolella, ginestra, falanghina, tintore, aglianico.
La varietà della flora è impressionante. Qui, in questa località chiamata San Vito, l’Università di Portici avviò i primi studi di sulla ginestra che accarezza le rocce dalla primavera in poi. In meno di un chilometro si passa dalla felce al cactus come se fossimo in un orto botanico. Acune piante secolari, come il carrubo, abbassano la temperatura anche di cinque, sei gradi d un metro all’altro.
Questo perché l’intera proprietà è grande quasi venti ettari e tutto è stato lasciato in un sostanziale equilibrio.
Proviamo i primi vini proprio nel giorno in cui inizia l’imbottigliamento.
Il Puntacroce 2011 è ottenuto da falanghina, ginesra e biancolella. E’ il primo step di un progetto che prevede una seconda eticetta bianca giocata solo con l’uva ginestra. Il naso è ricco di fiori e frutta, in bocca il vino appare molto più caratterizzato perché marca molto forte la freschezza e la salinità. Pieno e lungo, molto interessante. Da riprovare da qui a un paio di mesi.
Anche il rosato Salicerchi 2011 non si offre dolce, ma sostanzialmente rinfrescante e dissetante. Mi piace il colore, il blend di piedirosso, tintore e aglianico rivela una vocazione minerale, essenziale, quasi senza polpa: buon allungo e grande pulizia nel finale. Già godibile.
Molto più complesso il discorso sul rosso, Montecorvo 2011, che abbiamo provato da vasca e da legno con il blend ancora da decifrare. Il vino in acciaio è decisamente ostico, le durezze si fanno sentire anche a un palato non omogeinizzato come il mio. La materia c’è, è viva e piena di caratter, ma va atteso. Anche il blend con la parte lavorata in legno necessità tempo. I fondamentali comunque ci sono tutti e, anche in quetso caso, mi è piaciuto il marker comune: sapidità e freschezza assolute.
Insomma, tanta agricoltura seria e progetto lungo di ampio respiro. Sicuramente ne vedremo delle belle.
La Costiera non finisce mai di stupirci: del resto la frequentiamo da 40 anni e anche la prima curva resta carico di fascino e di mistero.
AZIENDA AGRICOLA RAFFAELE PALMA
Via Arsenale, 8 Maiori
Tel.335.7601858. palmaraffaele.maiori@tiscali.it
Ettari: 19 di cui 5 vitati a piedirosso, tintore, aglianico, biancolella, ginestra e falanghina
Enologo: Vincenzo Mercurio
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