Incassi giù fino all’80% nelle regioni che dal primo febbraio sono entrate in zona gialla. Nonostante l’ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza, il bilancio dei primi quattro giorni di apertura dei ristoranti in Calabria, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto è drammatico e conferma la situazione che stanno vivendo le altre regioni, tra cui la Toscana, nelle quali il semaforo giallo è scattato prima. È quanto emerge da un’indagine nazionale effettuata da TNI Italia – Tutela Nazionale Imprese – Ristoratori Toscana, che rappresenta 40mila aziende in Italia.
“I dati sono agghiaccianti e confermano le nostre previsioni: il fatturato dei primi quattro giorni, dal lunedì al giovedì, è pari al 20% di quello riferito allo stesso periodo del 2019. Il bilancio non fa altro che testimoniare quanto fino a ora detto: farci riaprire solo a pranzo si è rivelato come previsto un flop. Siamo alla canna del gas. Questa riapertura è solo un tentativo inutile di tornare alla normalità e di rimettere le nostre aziende in piedi. Ribadiamo: non è sufficiente e lo dimostrano i nostri registratori di cassa. Il Governo deve darci la possibilità di poter lavorare anche la sera, forse l’unica speranza che abbiamo per poter perlomeno far fronte ai costi di apertura che ogni giorno abbiamo. E soprattutto: basta fare allarmismi, le istituzioni devono aiutarci a far capire ai cittadini che i nostri, sono luoghi sicuri”. E’ quanto afferma
Pasquale Naccari, portavoce di TNI Italia – Tutela Nazionale Imprese e presidente di Ristoratori Toscana
apprezzando le dichiarazioni del viceministro della Salute Pierpaolo Sileri secondo il quale “con il progredire della vaccinazione devono riaprire i ristoranti anche la sera”. “Purtroppo – prosegue Naccari – non c’è stata la volontà politica di portare avanti il decreto ristori Quinquies con tutte le misure correlate e gli aiuti necessari. Basti pensare che a oggi non c’è nessun sostegno per il pagamento del canone di affitto dei mesi di gennaio e febbraio e l’accesso al credito è sempre più difficoltoso. Se vogliono far fallire le piccole e medie imprese e distruggere il settore della somministrazione devono dircelo apertamente. Noi non ci arrenderemo e andremo avanti con la nostra battaglia: i locali devono poter aprire anche a cena”.
A rendere la portata del fenomeno le testimonianze drammatiche dei ristoratori di quattro regioni: Veneto, Lombardia, Liguria e Puglia.
“Dalle grandi città ai piccoli paesi del Veneto lavoriamo con un calo di fatturato del 70%. Qualcuno non può riaprire perché non ha i soldi nemmeno per fare la spesa, ad altri sono state staccate le utenze. I proprietari dei fondi non ci vengono incontro e di conseguenza stiamo accumulando debiti su debiti. Siamo alla canna del gas. A causa delle ulteriori restrizioni della Regione Veneto, che limitano maggiormente la mobilità, noi e tutta la filiera siamo in ginocchio. I nostri fornitori non sono più nelle condizioni di fare credito e saranno costretti a licenziare” spiega
Alessia Brescia dell’Antica Trattoria ai 4 Soldi di Valeggio Sul Mincio in provincia di Verona.
Dalla Lombardia, le imprese tornano a lanciare l’sos: “Perdiamo in media il 70%, sia in città che nei centri minori. A oggi, le grandi città soffrono sia per lo smart working che per la perdita di turismo. Da lunedì a venerdì aprire a pranzo è quasi inutile, lavoriamo praticamente solo il sabato e la domenica. E gli aiuti arrivati sono briciole: non riusciamo nemmeno a ricoprire i costi per il canone di locazione” è la testimonianza di
Clara Ogliari di Seconda Casa di Crema, in provincia di Cremona.
“In Liguria perdiamo in media il 70-75% per cento, senza il momento della cena è difficile andare avanti” dice
Rocco Costanzo del Ristorante Rocco e i suoi fratelli di Rapallo in provincia di Genova. A chiedere aiuto anche la Puglia: “Con il pranzo perdiamo il 70% del fatturato” conclude
Rino Buonpensiero di Peperone in città di Foggia.
Ufficio stampa TNI – Ristoratori Toscana
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