Questa foto per me è la migliore sintesi della fase storica in cui ho vissuto.
Niente potrebbe riassumere meglio il bene e il male, i falsi miti del progresso come canta Battiato e l’ignoranza dei tesori che si possiedono.
Una catastrofe culturale anticipata da Pasolini di cui nemmeno io colsi le dimensioni quando ne parlava prima di essere ucciso.
Siamo a Torre Orsaia, uno dei tanti “piccoli centri italiani sonnolenti” come li ha definiti con scherno il Financial Times, nel cuore del Parco del Cilento. Un borgo immerso in una magica natura incantata tra Gelbison e Cervati, affacciato sul mare di Sapri, libero da inquinamento acustico e luminoso. Vicino l’area archeologica lucana di Roccagloriosa, bellissima e sconosciuta.
Qui la straordinaria torre campanaria costruita nel XVI secolo ha resistito per cinque secoli a invasioni, guerre, terremoti, ma non a un progetto di puro cemento negli anni ’80 che ha costruito il comune proprio a ridosso del monumento di cui la comunità va giustamente fiera, tanto che nelle cartoline la prospettiva fotografica è sempre dall’alto, ossia senza l’orrenda macchia di cemento.
Come sia stato possibile costruire questo mostro bisognerebbe chiederlo ai chi governava il paese e all’architetto che ha concepito in questo modo l’edificio pubblico.
Già, perché nel Cilento bisognerà fare una mostra sui mostri, cioé sulle decine di edifici pubblici costruiti che hanno deturpato il paesaggio e inondato gli olivi nel cemento. Non sempre il privato è il protagonista di queste nefandezze, o meglio, è sempre incoraggiato da amministratori con la vista corta.
Si pensa al Diavolo come a qualcosa di orrendo e spaventoso, invece non è altro che la scelta di una opportunità che si presenta buona e che alla fine ti uccide.
Penso che amministratori dell’epoca fossero molto orgogliosi di questa oscenità, magari pensavano di valorizzare la torre e, forse, è già una fortuna che non l’abbiano abbattuta per ingrandire l’edificio comunale.
Invece il male colpisce per la sua evidente semplicità: cemento al posto di pietra, eguale progresso.
Sarebbe opportuno che qualcuno ordinasse l’abbattimento immediato di questo mostro costruendo bei giardinetti con affaccio sul mare.
Lo spazio verde nei comuni? Un fastidioso buco da riempire con costruzioni. Ecco come la vedono, ancora oggi, gli amministratori, gli stessi cittadini, una vera egemonia culturale della lobby dei costruttori.
A Vallo della Lucania prosegue l’abbattimento delle tipiche case in pietra per costruire centri commerciali e palazzi di cemento, ad Agropoli c’era un progetto per distruggere la Baia di Trentova, a Torchiara si costruiscono orribili villette a schiera che umiliano il paesaggio. Tutto questo senza che ci sia alcuna pressione demografica perché gli abitanti stanno diminuendo e molti paesi rischiano l’abbandono.
Il motivo è che non c’è altra idea di sviluppo, dopo la zappa c’è solo la pala. Gli amministratori hanno bisogno di voti e per far girare l’economia pensano solo al cemento, anche adesso che i prezzo delle case stanno crollando perché si è costruito troppo e male.
Non è un caso che il verde pubblico sia praticamente assente in molti centri rurali e che nessuno pensi a spazi per bambini.
Così facendo queste comunità segano il ramo su cui stanno sedute. Prima abbandonando la manualità, poi cancellando le tracce di un passato che da ricordo di fatica e umiliazione poteva, potrebbe, trasformarsi in fonte di grandi soddisfazioni.
Purtropo la cultura è l’unica infrastruttura non finanziabile.
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