di Bruno Petronilli
Quando un produttore, qualsiasi sia l’oggetto che vuole commercializzare, ti urla in faccia “è il migliore del mondo” qualche dubbio ti viene. Il sospetto che si tratti di un’imprudente e poco convincente strategia di marketing c’è tutto. Questa tecnica temeraria è parente stretta di altri ingegnosi metodi di vendita, vecchi di almeno trent’anni come il fantomatico “consigliato dall’Associazione Medici…”. Oramai, oggi, non ci crede più nessuno.
Ma, ovviamente, ci sono delle eccezioni. E la più luminosa e deliziosa si chiama Joselito. Il prosciutto di Joselito è il più buono del mondo, punto e basta. Questa affermazione, che campeggia orgogliosa sul sito aziendale, non è un’autarchica affermazione dell’ego di José Gomez, quarta generazione degli “imperatori” dello jamon iberico. E’ semplicemente una verità assoluta, un assioma incontrovertibile che si affranca dal giudizio soggettivo.
Data la premessa, iniziamo proprio da questo straordinario elemento dell’olimpo culinario mondiale. Joselito è un miraggio di perfezione e di sapore, di equilibrio, di testura, di profondità e di complessità gustativa. E’ il vertice inarrivabile del mondo del prosciutto, una gemma preziosa, uno “stupefacente” nel vero senso della parola, perché a ogni assaggio non scema mai lo stupore di quell’incanto e non ti senti mai sazio. Continueresti per ore, assaporandolo fetta dopo fetta, senza mai avvertire l’esigenza di dire “va bene, basta così”.
Joselito è un’azienda che ancora oggi, nonostante fama e dimensioni, si ostenta a tutti come “a conduzione familiare”. Forse sta proprio qui il segreto più inconfessato di Joselito, che lavora il maiale iberico dal 1868. La qualità delle carni, la tecnica straordinaria delle lavorazioni, i processi di stagionatura, hanno consentito di creare, negli anni, un mito, ovvero ciò che il Devoto Oli definisce “capace di polarizzare le aspirazioni di una comunità o di un’epoca, elevandosi a simbolo privilegiato e trascendente”.
Una volta guadagnata la certificazione di “leggenda” quale può essere il passaggio successivo? Forse è stata questa la domanda che si è posto José Gomez circa tre anni fa. E la risposta è stata Joselito Lab.
Tre anni prima che l’azienda Joselito iniziasse il suo lungo viaggio, nel 1865 a Parigi un certo Henri Roché, chimico, farmacista e grande amante della pittura, rilevò la Maison du Pastel, aperta fin dal 1720. Era il preludio di un’era straordinaria dell’arte: furono molti gli artisti che acquistarono i pastelli di Roché, inimitabili per caratteristiche e varietà di sfumature. Tra questi pittori c’erano Edgar Degas, Camille Pisarro, Jean-Frédéric Bazille. Nacque, anche grazie a quei pastelli straordinari, l’Impressionismo. Un oggetto unico per qualità e natura consentì di liberare e cristallizzare per sempre l’essenza culturale di un’epoca.
Joselito Lab nasce dalla volontà di liberare i confini dell’eccellenza, come fecero i pastelli di Roché. Dare in pasto al genio artistico uno strumento prodigioso che nel nostro mondo gastronomico significa ricorrere all’abilità di grandi chef.
Il primo, nel 2013, fu Ferran Adrià. Poi nel 2014 fu il momento di Massimiliano Alajmo. E nel 2015 Joselito è voltato da Jonnie Boer, chef del De Librije di Zwolle, placida cittadina olandese al confine con la Germania. Boer ha creato 22 ricette, dando sfogo al suo stile eufonico e istintivo. Nel vortice estroso dello chef sono finiti ingredienti locali e prelibati frammenti del cosmo culinario targato Joselito. E’ la terza grande opera, Joselito Lab ne scriverà molte altre ancora.
I piatti
Capperi, cavolo, prosciutto “Joselito”, granchio speziato, foie gras
Aragosta del Mare del Nord, Kombucha, chorizo “Joselito”, fagiolini
Pesce persico, pancetta “Joselito”, mela verde, finocchio
Coda di rospo, lomo “Joselito”, mirtilli, succo di cavolo fermentato
Cabezada “Joselito” cotto a bassa temperatura, funghi sottaceto, alghe
Ravioli di formaggio Epoisses, succo di patata, reni di coniglio, chorizo “Joselito”
“Wiedencocktail”, more, acqua di menta, colostro
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