di Francesca Faratro
“Natura(L)mente” è la parola che ho scelto per descrivere la mia esperienza al ristorante Joia di Milano, nel regno veg del grande Pietro Leeman.
Antesignano della cucina vegetariana in Italia, Leeman muove i primi passi nell’orto del papà, crescendo poi fra conventi, credi e tradizioni di ogni dove, maturando così una illimitata curiosità verso ogni tipo di vegetale, sin da piccolo. Una cultura della diversità (e della biodiversità) che ha fatto propria nel corso degli anni, trasferendola completamente nelle cucine del suo “Joia”, il ristorante aperto ormai 30 anni fa, in pieno centro a Milano, il primo vegetariano in Europa a prendere la stella Michelin nel 1996.
In questo luogo quasi mistico, sorprendente per la sua semplicità, arredi e ambienti danno subito la sensazione di un viaggio. Prevalenza di legno e colori, mentre qua e là ci sono invece suggestioni orientali; richiami ai diversi paesi e alle diverse culture incontrate personalmente dallo chef nel corso delle sue esperienze all’estero.
Il locale di Leemann è per chi si vuol concedere una cena fuori dal comune, diversa dai soliti risotti o dalle cotolette milanesi. Qui nei piatti ha sempre trionfato solo la natura vegetale.
Una cucina da sempre pulita, molto concettuale,che non ha mai rinunciato alla ricerca del benessere ma anche – come detta il nome – al gioia del cliente.
Ogni portata ha un proprio “nome e cognome”, una storia legata a questa ricerca continua.
In questo percorso ha al suo fianco una grande squadra, giovane, sia in sala che in cucina, mentre il direttore, Antonio Di Mora, segue lo chef al Joia da ormai vent’anni.
La cena inizia con il benvenuto della casa che presenta in maniera sintetica ed efficace, sin da subito, la filosofia dello chef. E’ un benvenuto pensato per essere mangiato con le mani, con il rimando alla sensazione della presa tattile di quando si è bambini. Solo la materia conta.
Tra gli starter, segue una sorta di inno alla vita, con un albero ricreato grazie al terriccio e alla carota con una fogliolina di menta.
I pani sono fatti in casa, realizzati con farine italiane e biologiche: un panino farro e noci, cotto al vapore; una pagnotta ai semi di zucca, senza sale e appena sfornata, per offrire al meglio la fragranza che il pane può sprigionare.
Il piatto che segue, “Anacronismo”, è una bavarese di carciofi e zucca, servita con insalatina condita con maionesi vegetali e sentori di cumino.
Il “volto della natura” è l’antipasto concepito pensando ad Escher: tuberi tiepidi con patate, barbabietole e cavoli rapa, cuore di cannellini e wasabi, crocchetta di verdure e shiso con salsa agrodolce.
Il rosso, l’arancione, il bianco si alternano fra gli strati e fra i tuberi su uno specchio di lamponi dove il cromatismo continua a fare la sua parte. Al fianco, una piccola polpettine realizzata con gli stessi prodotti utilizzati nel piatto.
“Lady Curzon, moglie del Vicerè d’India” è un brodo di cocco leggermente piccante al lemongrass e servito caldo con shitakè e pak choi grigliati. E’ una zuppa, avvolta da una nuvola soffice di panna di sedano che cosparge una sequenza di verdure da scoprire cucchiaio dopo cucchiaio.
Il primo piatto è un ricordo dello chef , “il giuoco delle perle di vetro”, un omaggio al suo gioco preferito d’infanzia: le biglie. Ispirandosi a queste ne crea uno gnocco di patate e zafferano ripieno ai funghi ma realizzato senza farina. Sul fondo, una crema di pastenaca, accenni di radicchio tardivo e piccole sfere di verdura.
Ancora un primo piatto con “una porta per il paradiso”: cappelletti di radicchio e fagioli cannellini serviti con un brodo di verdure, cardi gobbi, finto raviolo di cavolo rapa, kimchi fermentato e il tutto accompagnato da un’importante nota di vino rosso.
“Love” è il piatto dell’amore, dai sentori forti e con una prevalenza dell’umeboshi e la mandorla amara. E’ un tempeh, con cavolo romanesco e di Bruxelles arrostiti, caprino di mandorla e una sfoglia sottile di zucca. Una salsa teryaki all’italiana completa il piatto con un finale di rose che amplifica il tutto.
Piccola pausa dedicata alla panificazione con un nuovo assaggio di pane: una focaccia al rosmarino appena sfornata, soffice e calda.
Nei secondi c’è ancora un ricordo all’infanzia con un ennesimo rimando al gioco. Si chiama “Sotto una coltre tenue”, ed è una spuma di latte al vino bianco e zafferano composta come un manto impalpabile e gustoso a ricoprire tante verdure tutte da scoprire.
Questo piatto, come spiega Leemann, rimanda ad un bosco svizzero al quale lui è molto legato. Tale paesaggio, che cambia di stagione in stagione, viene riportato nel piatto con i colori vegetali.
Una vasta scelta di formaggi viene servita sul carrello, a caglio vegetale e realizzati con latte di capra, mucca o pecora. Serviti al piatto invece quelli totalmente vegani, da degustare da destra verso sinistra. Per questi la ricetta è segreta!
Divertente davvero questo assaggio di formaggi, associati alle salse di accompagnamento, e alla inevitabile curiosità che avrà saputo creare il personale di sala.
A fine cena, i riflettori non potevano che accendersi sui dessert.
Il primo è intitolato “ricordando Fredy Girandet”, un guazzetto di agrumi marinati e serviti tiepidi con un sorbetto al mandarino. Il tocco dall’Oriente arriva con un mikado al te matcha tutto da sgranocchiare e da un bastoncino di incenso acceso che emana i suoi profumi.
Si continua in dolcezza con un omaggio alla Valle Maggia, ai pascoli, ai fiori freschi appena raccolti. “Sguardo oltre quelle montagne, dove sorge il sole” non poteva che includere uno strudel, il dolce d’altura più tradizionale, servito con gelato alla camomilla e salsa inglese alle cime di abete e miele.
Forti richiami alle montagne, una passeggiata lungo gli stessi luoghi d’infanzia dello chef.
L’ultima sosta nel lungo cammino intenso ed emozionante del Joia è “5 minuti”, la pausa necessaria che concede di rilassarsi lasciandosi cullare dalle note del cioccolato.
Tre piccoli morsi, uno diverso dall’altro (cinque nella versione integrale), con diverse consistenze ed intensità da consumare nel tempo indicato. Attenzione alla clessidra che vi segna il tempo, potrebbe fermarsi ed allungare il piacere!
L’arrivederci è una tartelletta di grano saraceno con un dolce cremoso che lascia in primo piano la croccantezza della pasta biscotto.
E quando l’esperienza sembra essere ormai finita, arriva un’ultima “carezza”: un cioccolatino fondente e morbido allo zenzero, il tocco conclusivo per chiudere davvero in bellezza la cena.
Conclusioni
Il Joia di Pietro Leemann è una tappa imperdibile per vegetariani e vegani ma, per la sua impostazione narrativa e concettuale di sintesi tra benessere e gioia, tra salute e divertimento, è ormai da tanti anni anche una tavola di riferimento a Milano per gli amanti del buon cibo, quello curioso, non scontato, di grande suggestione.
A “spasso” fra i piatti si percepisce la filosofia dello chef, e si ascoltano i suoi racconti senza mai stancarsi, anche grazie a una sala che gira alla perfezione, frutto anch’essa di studio e conoscenza, esperienza e capacità.
Infine, una carta dei vini eccellente: spazia fra le referenze di tutto il mondo con un’ampia selezione di diverse annate. Spazio alle bollicine francesi e ai vini internazionali che non possono mancare in una selezione così certosina.
A completare l’esperienza c’è oggi anche Joia Academy, una vera e propria scuola sviluppata su tre livelli di corsi di cucina dove si insegna e si trasmette la cultura vegetariana dello chef:
«La cucina è poesia. I piatti saranno anche diversi fra loro ma sono tutti collegati da un filo conduttore come lo sono i versi. Bisogna riflettere sul cibo: è qualcosa che ci tocca nel profondo e ci trasforma. – afferma Leemann – siamo ciò che mangiamo e diventiamo ciò che scegliamo di mangiare!».
Joia Alta Cucina
Via Panfilo Castaldi, 18
20124 Milano
Tel. 0229522124 / 022049244
www.joia.it
Prezzo a persona dai 100 euro ai 135, escluso i vini.
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