di Maurizio Paolillo
L’Operation Avalanche, come fu denominato lo Sbarco Alleato sulle Coste del Sele nel Settembre 1943, rappresenta, ancora oggi, una delle più grandi operazioni militari di mare fino a quel momento mai effettuata, seconda soltanto allo sbarco in Normandia del giugno del ‘44. L’ingente documentazione, per lo più fotografica, di questo evento, determinante per gli esiti della Seconda Guerra Mondiale, è raccolta a Eboli (SA) presso il MOA (Museum of Operation Avalanche) che dal 2012
consente al visitatore non solo di rivivere gli episodi militari, ma soprattutto di respirare l’aria dei campi, dei casali, dei borghi, di quella dimensione rurale che pervadeva la società del Sud Italia negli anni della Guerra.
Tra le tante iniziative, il Museo ospita una bella manifestazione dal titolo più che programmatico, Jazz & Wine giunta alla 7a edizione. L’evento, egregiamente organizzato dall’Associazione Primavera Circolo Mo’Art, guidata con piglio da condottiero da Luigi Nobile, in collaborazione con l’Associazione Sophis presieduta dal proteiforme Marco Botta, è ripartita tra mille difficoltà, ma con fiera determinazione.
Nel portico dell’antico chiostro del complesso conventuale di Sant’Antonio, nel centro antico di Eboli, erano allestiti i banchetti di assaggio delle aziende espositrici. Sette cantine, per lo più del salernitano: Rossella Cicalese, Viticoltori Lenza, Alfonso Rotolo, Rosa Pepe, Tenuta Macellaro, con un’incursione in Basilicata con Tedesco di Genzano di Lucania (PZ) e Musto Carmelitano di Maschito (PZ). A queste si aggiungeva il Prosecco della Cantina Montelliana di Montebelluna (TV) commercializzato da Trotta Distribuzione di Battipaglia (SA); i liquori di Iolanda Busillo, Luigi Barone e Mellis; le specialità gastronomiche di: Cooperativa Agricola Sociale R-Accogliamo, con prodotti a base di frutta, zafferano e miele, i formaggi di capra della Fattoria Cavallo, i caciocavalli podolici degli Allevatori Capasso e Schettino, la mozzarella del Caseificio Di Guida, i prodotti da forno di Le letizie da Z’ Monc e della Pizzeria del Corso.
Sul palco, allestito con enormi problemi nel chiostro, oggetto di un intervento di pseudo recupero architettonico che ancora grida vendetta, si è esibito lo Scannapieco Bros. Jazz Quartet con Daniele
Scannapieco (sax tenore), Tommaso Scannapieco(contrabbasso), Michele Di Martino (piano) e Gino Del
Prete(batteria). Il gruppo ha esibito un suono maturo, con un ottimo interplay. Hanno colpito più di tutti la bella voce strumentale di Daniele, che paga il suo tributo al grande John Coltrane (ma come potrebbe essere diversamente…) e il dinamismo del batterista Gino del Prete, costante stimolo per i solisti e assoluto protagonista in alcuni frangenti. Da rimarcare anche il repertorio costituito in parte da composizioni originali e in parte da standard, riletti anche questi in chiave moderna.
Bella musica, robusta come un Tintore di Tramonti, fresca e stimolante come un fiano del Cilento.
Vino e jazz
Innanzitutto una nota personale. Mi occupo di vino fin dai tempi dell’università. Ma prima ancora sono stato un grande appassionato di musica e di jazz in particolare. La mia prima Umbria Jazz è stata nel 1976, un’altra era geologica. Da allora ho girato per festival e concerti, collezionato compulsivamente dischi, chiedendomi sempre come stessero insieme le due cose.
Con l’età penso di aver compreso che i punti di contatto non sono poi così pochi.
Sono entrambi attività che procedono a partire da materiali naturali. Il vino proviene dal frutto della vite, un prodotto della terra. La musica, in ultima analisi, è l’organizzazione dei suoni della natura, della pulsazione della terra.
Sono entrambi elaborazioni umane di materiali naturali. Nel caso del vino, l’uomo mette in opera il suo ingegno, la tecnologia, per trasformare una materia prima in un prodotto diverso.
Nella musica avviene qualcosa di simile: di nuovo la trasformazione di materiale naturale grazie all’ingegno umano. Il jazz, in particolare, è una musica profondamente naturale. Com’è noto, nasce dall’incontro e dalla commistione delle culture africane degli uomini deportati in America come schiavi con le culture musical-popolari europee (irlandese, francese, balcanica). Nel jazz, quindi, ha un ruolo determinante la matrice africana che introduce nella musica occidentale elementi naturalistici come la scansione ritmica complessa, che diviene poliritmia riproducendo le pulsazionidegli elementi naturali: il battito del cuore unito al crepitìo delle gocce d’acqua, allo scalpitare degli zoccoli, al frinire delle cicale, al canto ritmico del cuculo o dell’upupa. Dall’Africa proviene anche la capacità di trasformare questi stimoli sonori in musica percuotendo materiali comuni: tronchi, legnetti, zucche, gusci di noci, vasi di terracotta.
Aggiungiamo che tutto ciò è alimentato e condito dalla propensione all’improvvisazione che libera il musicista dalle costrizioni eccessive lasciando spazio all’estro e alle emozioni.
Ma l’improvvisazione non è mai assoluta: come nel jazz si procede su un canovaccio rappresentato dalla struttura del brano, così nel vino non si abbandona l’uva a se stessa ma se ne guidal’evoluzione secondo uno schema che asseconda l’inclinazione naturale della materia prima; una sorta di improvvisazione controllata.
Sia il vino che la musica raccontano una storia, una tradizione. Il vino, nella sua espressione più nobile e profonda, deve restituire un territorio. Un concetto che si esprime nella maniera più chiara e sintetica attraverso il termine francese terroir, che vuol intendere come il vino rappresenti il risultato dell’interazione di più fattori: terreno, clima, vitigno a cui si aggiungono le conoscenze dell’uomo. Ritorna quindi la tecnologia e l’improvvisazione controllata.
Allo stesso modo, la musica racconta la storia di un popolo, le sue tradizioni, la sua cultura. Il jazz in particolare racconta una storia di sofferenze e di grande voglia di vivere, così come tanti vini di territori difficili ci raccontano la bellezza di una cultura contadina e la forza della sua tradizione.
Infine entrambe sono forme d’arte. Nel momento in cui l’arte è produzione di stimoli emozionali, sia il vino che il jazz possono esprimere commozione, affermazione dell’identità, trasmissione della propria civiltà.
Merito dunque all’Associazione Primavera Circolo Mo’Art e al direttore artistico Luigi Nobile, che hanno affermato, sottolineato e rappresentato le identità tra vino e jazz su cui, siamo sicuri, si continuerà a lavorare e a sperimentare.
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