di Milena Ferrari
Se l’aria della Valle d’Aosta avesse su di me gli stessi effetti che ha sul prosciutto crudo DOP Jambon de Bosses sarei una persona buona, molto buona. Devo precisare però che per raggiungere tale bontà dovrei trascorrere almeno un anno a 1600 metri di altitudine nel comune di Saint-Rhemy-en-Bosses e riposare al buio mentre le correnti provenienti dal Col Citrin, dal Gran San Bernardo, dal Malatrà e dal Serena mi renderebbero unica ed ineguagliabile.
Un profumo delicato ed aromatico, un sapore di base dolce con una punta leggermente salata, un sottofondo caratterizzato da una venatura di selvatico fanno di questo prosciutto il principe della salumeria valdostana. Le prime notizie storiche relative allo Jambon si hanno a partire dal 1397. Nei secoli successivi si confermano il prestigio e l’abilità dei “maturatori” della zona che tramandano di generazione in generazione, ai propri figli, i trucchi della salagione della carne. Per la salatura si impiega una miscela composta da sale, aglio tritato, salvia, rosmarino, ginepro, alloro e timo oltre a pepe macinato in modo grossolano ed altre bacche del territorio. Da 12 a 24 i mesi di stagionatura in appositi locali con temperatura e umidità costantemente controllate. I prosciutti sono adagiati talvolta su un letto di fieno che conferisce loro un profumo tipico di erbe fresche di montagna.
Se lo Jambon de Bosses è il principe dei taglieri valdostani, il posto da re spetta sicuramente al Lardo d’Arnad. Tagliato sottile o un po’ più spesso è un dubbio amletico irrilevante considerata la sua tendenza a sciogliersi al palato sprigionando profumi ed aromi sublimi. Di questo prodotto, che ha ottenuto il marchio DOP nel 1996, si ha traccia dalla fine del XVI secolo quando i frati del monastero di Sant’Orso lo offrivano agli indigenti che se ne cibavano per affrontare i rigidi inverni. I pezzi di lardo sono adagiati in contenitori di legno, i doils, realizzati con legno di castagno, rovere o larice, e cosparsi di sale e aromi. Aglio, alloro, rosmarino e salvia con l’eventuale aggiunta di erbe aromatiche provenienti esclusivamente dal territorio regionale e spezie non macinate quali noce moscata, bacche di ginepro e chiodi di garofano rappresentano la tradizionale “concia”. Successivamente il tutto è ricoperto con acqua salata. La stagionatura non deve essere inferiore ai tre mesi.
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