Via Nuova Cartaromana, 68
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Diciamo la verità, mai nome tanto abusato in Italia è invece ben indicato per definire precisamente questo spettacolare angolo di Ischia. Parliamo della Baia di Cartaromana sorvegliata dal Castello Aragonese, dalla Torre Michelangelo e gli Scogli di Sant’Anna, quella che gli stessi abitanti definiscono la zona più bella e suggestiva dell’Isola Verde, ricca di fascino e di storia, mattino incantato e sere fascinose. Conosco bene il posto grazie alla voglia di Marco Starace, presidente della sezione isolana dell’Ais, di promuovere disinteressatamente il suo territorio con la manifestazione VinIschia giunta ormai alla settima edizione: ogni anno ospita gli amici nel suo albergo, il Don Felipe, a picco sulla baia vulcanica. Giù, meglio arrivare via mare, Ciro e Anna Calise hanno rilevato la gestione per cucinare tra le palme e la piscina: dentro una cianciola la frutta viene mantenuta fresca dall’acqua corrente. Certo, sarebbe molto meglio mettere gli olivi al posto delle palme che ricordano sempre o i lungomare costruiti in stile coloniale fascista nelle città marittime meridionali o, peggio, i villaggi vacanza in Kenya e nel Mar Rosso. Ma è anche vero che l’isola terragna non ha una grande cultura dell’olivo, non a caso è uno dei pochi terroir della Campania dove non ci sono aziende che etichettano il prodotto. Il problema è che Ischia è uscita dalla povertà, quando cioé il grasso quotidiano, fondamentale per la sopravvivenza,lo regalava il maiale allevato in famiglia, negli anni ’60, contemporaneamente alla diffusione televisiva di altri <oli più leggeri>. Ma, al netto di queste considerazioni, la baia resta un incanto vero, la sera l’atmosfera è magica ed è il posto adatto per provare piatti di mare veri e sapori partenopei come il rotolo di pasta, melanzane e basilico. Il piatto della memoria, preceduto da una bella tartare di tonno, è di una semplicità sconcertante: saporitissime cozze alla brace, un modo di cuocerle che troviamo solo ad Ischia, che valgono da sole la visita. Molto divertente il benvenuto, una tempura di gambero avvolto negli spaghetti, plastico esempio di fusion nippo-partenopea intuita da Antonio Tubelli. Le cozze battono ai punti un’altra leccornia, i ricci di mare crudi serviti aperti a metà in stile francese sul ghiaccio con cucchiaino. Ove si dimostra ancora una volta l’importanza del rapporto tra cibo e vino quando il Tenuta Frassitelli 2005 di Casa D’Ambra, ancora molto fresco e bisognoso di equilibrio con l’elevamento in vetro, si è ammorbidito in maniera incredibile nell’accompagnare i ricci. Di routine in Campania, ma a Roma e Milano sarebbero un monumento, i paccheri di Gragnano con il ragù di scorfano, da citare la pasta con il nero di seppia. Una cucina dai sapori decisi, assolutamente non banale in un panorama gastronomico quasi del tutto <riminizzato>, capace di parlare agli intenditori senza strafare, complessa ma non barocca, semplice nelle tecniche di cottura ma non banale. Buona carta dei vini, servizio molto professionale. Sui 40 euro.
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