Il caso BianchIrpinia e il rischio Anteprima
Da qualche mese ho un rododentro, un sentimento diventato amarezza proprio nel momento in cui ho provato il piacere di una bella serata in Irpinia, mi riferisco alla Fiera Enologica di Taurasi: una festa di popolo, un grande baccanale moderno in cui è stato trovato il giusto equilibrio tra partecipazione, spontaneità e proposta culturale grazie al contributo di tutti, della pro Loco, dell’Ais, di Go Wine, di Slow Food. Manifestazione simile a quella di Vinalia a Guardia Sanframondi nella quale, anche qui, l’impressionante partecipazione popolare non è stato un elemento di contraddizione con i contenuti dell’iniziativa e la serietà di impostazione. Vi assicuro che non è facile tenere fuori l’orda di ambulanti abusivi che vengono a proporre porchette e wurstel o giocattoli cinesi in queste circostanze, o mantenere il tono quando in piazza ci sono migliaia di persone. Ma il miracolo si è ripetuto, la proposta migliorata e tutto si è chiuso senza un solo incidente, neanche un tozza tozza con l’automobile intendo, segno che il rapporto con il vino è ancora, per fortuna, qualcosa di estremamente naturale dalle nostre parti. Per dirvi, scene come quelle della domenica pomeriggio al Vinitaly con gente che ciondola non ne abbiamo viste.
A Taurasi è stata una festa, ma io l’ho vissuta, per quelle due ore che mi è stato possibile esserci, con un po’ di amarezza. Il motivo è che, per parafrasare un celebre scritto di Lenin, con questa Fiera l’Irpinia ha fatto un passo in avanti, però ne ha già fatto uno indietro e, spero ardentemente, non faccia anche il secondo. Chi mi conosce sa che non lascio cadere le cose: la cancellazione di BianchIrpinia è stata uno degli episodi più gravi di questo 2008 dopo l’emergenza della munnezza, l’ennesimo errore le cui responsabilità ricadono sugli enti che la dovevano sostenere e non l’hanno fatto. Non riuscirò mai a capire come la Regione possa tirare fuori disinvoltamente dall’oggi al domani mezzo milione di euro per salvare la Fier
a della Casa a Napoli e non supportare con qualche migliaio di euro la manifestazione più importante dei suoi due bianchi di punta che hanno trasformato il peso della Campania in Italia, due bianchi che volano e funzionano bene a tutti i livelli. Non capirò mai come la Provincia di Avellino organizzi concerti e concertelli, sagre e abbuffate precotte, e non abbia la consapevolezza politica, culturale, antropologica, mentale, che l’unico modo per distinguersi dall’offerta italiana e poter attrarre gente sul proprio territorio sia valorizzare il suo core business, cioè il vino, e nello specifico il Fiano e il Greco. Non capirò mai l’eterno sonno del comune di Tufo e dei comuni del Fiano.
L’assenza di BianchIrpinia cosa ha determinato? Molto semplice: la stampa specializzata, parliamo di una cinquantina di professionisti fra guide, riviste e siti, non ha avuto la possibilità di saggiare in un solo giorno la nuova annata. Il risultato è che i più volenterosi si sono fatti spedire i campioni a casa, con tutto lo sforzo che questo comporta e, soprattutto, la dispersione di forze ed energie.
Bene, ora mi auguro che lo stesso non si ripeta per Anteprima Taurasi. In questi anni l’Irpinia ha maturato un know how organizzativo di livello nazionale grazie all’impegno di un buon pool di giovani che hanno scelto la via della specializzazione e soprattutto di restare nella propria terra invece di andare a fare soldi fuori. Mi auguro che tutti, a cominciare dal Consorzio, abbiano consapevolezza di quanto questo bene immateriale sia prezioso e raro, di come sia importante sfruttare l’opportunità che si è creata nel corso degli anni per andare avanti. Di come sia inutile comprare barrique all’estero quando sotto casa ci sono artigiani altrettanto bravi e competenti.
Il quadro alternativo è ben ovvio: le grandi aziende, ma sono solo tre, e quelle già conosciute, ma sono solo dieci, hanno la possibilità di fare a meno di queste manifestazioni. E le altre? E poi: siamo davvero convinti che un grande albero senza foresta conservi lo stesso fascino? C’è qualcuno che pensa davvero di andare lontano senza un territorio da visitare, molteplici bicchieri da provare e comparare? E’ così che si affrontano momenti di crisi come quello che stiamo attraversando? E’ così che ci si porge rispetto ad una critica enologica sempre più esigente e sempre meno condizionabile grazie vivaddio alla diffusione di Internet? Davvero il comportamento antico del Consorzio del Brunello in occasione della inchiesta non ha insegnato nulla a nessuno? Ma, soprattutto, si può ancora vivere nella paura di perdere e non con l’ambizione di guadagnare in questo mondo globalizzato e sempre più competitivo?
Mi auguro che fra lotta a chi deve fare il presidente di qui o l’assessore e il consigliere di la, chi resta nel Pd e chi va nel Pdl, chi è in maggioranza e chi in opposizione, insomma mi auguro che il ceto politico oltre ad essere assorbito dall’enorme mole di cazzate nelle quali trascorre la maggior parte del suo tempo a nostre spese, trovi anche l’orgoglio per occuparsi dell’unico settore che ha cancellato dalla testa degli italiani lo scandalo del terremoto: il vino.
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