di Lorenzo Colombo
Non ricordiamo precisamente quando ci siamo stati in quest’azienda situata a Zola Predosa, in provincia di Bologna, saranno però passati tranquillamente una ventina d’anni, fatto sta che il vino che andiamo a degustare non ci aiuta molto a ricordare, essendo quello che anni fa veniva classificato come Vino da Tavola non poteva infatti riportare in etichetta l’annata di produzione, ma neppure il nome del vitigno o la zona di produzione.
Abbiamo cercato a tal proposito di risalire dal numero del lotto, informazione questa obbligatoria sull’etichetta dei vini, ma anche questo non è che ci ha dato alcuna certezza, trattandosi di una serie di numeri e lettere.
Quello che ci pare di decifrare è infatti un 22, ultime cifre di una serie posizionata sotto il contenuto del recipiente.
Potrebbe quindi trattarsi di un vino del 2002, perlomeno ipotizziamo, in quanto ai vitigni utilizzati, consultando alcune vecchie guide di vini, di fine anni Novanta/inizio anni 2000 abbiamo trovato 60% Cabernet sauvignon e 40% Merlot.
La bottiglia in questione era da tempo immemore posizionata sulla griglia della nostra cantina e tutte le volte che la vedevamo abbiamo sempre pensato che non fosse il caso d’aprirla aspettandoci che il suo corretto abbinamento sarebbe stato il lavandino, date le condizioni che trasparivano dalla sua capsula, con evidenti segni di muffa e di colatura di vino.
Una domenica di febbraio ci siamo però decisi a metterla alla prova e dobbiamo dire che è stata una piacevolissima sorpresa.
La storia dell’azienda Gaggioli ha inizio negli anni Settanta del Novecento, quando Carlo Gaggioli recupera il Vigneto Bagazzana e negli anni Ottanta inizia a commercializzare il suo vino sfuso.
Negli anni Novanta s’inizia ad imbottigliare ed attualmente Carlo Gaggioli e la figlia Maria Letizia producono circa 130.000 bottiglie all’anno suddivise tra una quindicina d’etichette, da 21 ettari di vigna.
Naturalmente il vino che andiamo a degustare non esiste più, nel corso degli anni ha cambiato nome ed è stato aggiunto, nella sua composizione lo Syrah, ora si chiama Colli Bolognesi Rosso Bologna Doc ed è composto da 50% Cabernet sauvignon e 50% tra Merlot e Syrah, viene vinificato in vasche d’acciaio e s’affina sia in acciaio che in botti di rovere da 15 ettolitri per un periodo variabile dai 12 ai 18 mesi.
Null’altro siamo riusciti a sapere da parte dell’azienda produttrice.
La degustazione
Come scritto in precedenza la bottiglia non si presentava molto bene, l’abbiamo quindi approcciata con parecchia diffidenza.
Pulita la capsula, coperta di muffa e con chiari segni di colatura, ci siamo con cautela approssimati all’estrazione del tappo che per la verità è uscito senz’alcun problema, era però completamente intriso di vino e nell’estrarlo dal cavatappi s’è rotto in più pezzi.
Non dava però segni d’anomalie olfattive particolari, così, versato un piccolo quantitativo di vino nel bicchiere l’abbiamo assaggiato, non trovando nulla di strano.
E’ quindi seguita la decantazione, onde separare il possibile fondo creatosi negli anni, che però s’è alla fine rivelato minimo.
Nel bicchiere troviamo un vino dal color tra il granato ed il mattonato, con unghia aranciata.
Mediamente intenso al naso, un poco chiuso, dopo qualche minuto s’apre su sentori di sottobosco, tabacco dolce, humus e dopo poco tempo ancora emergono note di marmellata di prugne, noci, nocciole ed accenni di vaniglia.
Discreta la sua struttura, il tannino è ancora ben presente ma s’è ammorbidito ed addolcito, ritroviamo netti i sentori di prugne, sia cotte che in confettura uniti ad accenni vanigliati e di fichi secchi, buona la sua persistenza.
Un vino sorprendente e decisamente interessante, soprattutto alla bocca.
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