di Roberto Giuliani
Quando iniziai ad assaggiare i vini della Leone De Castris negli anni ’90, fui subito colpito dalla loro qualità media e dalla decisa impronta espressiva. A questa nota azienda pugliese si deve il primo vino rosato imbottigliato d’Italia (1943), il mitico Five Roses, ottenuto da negroamaro con una piccola aggiunta di malvasia nera.
Approfondendo anno dopo anno la conoscenza di questi vini, dal bianco Messapia a base verdeca, al Messere Andrea, rimasi particolarmente impressionato dalle caratteristiche del Salice Salentino Donna Lisa Riserva, anch’esso a base negroamaro con una quota di malvasia nera; ma quello che non ero ancora pronto a capire era la sua potenziale longevità.
Poi ho avuto alcune occasioni di assaggi di annate vecchie, che però riguardavano vini tra i 10 e i 15 anni di vita, pertanto non nego che quando ho aperto questo 1995 sono rimasto esterrefatto.
Un millesimo che sulla carta non rappresentava il top, ma se c’è una cosa che il vino è in grado di fare, è smentire qualsiasi previsione, dimostrando che non è possibile uniformare un giudizio, mai, tanto più in un Paese così eterogeneo come il nostro.
Così, una volta versato nel calice, ho accostato quasi con timore il naso e… ho avuto la prova incontrovertibile che avevo di fronte poco più che un ragazzo! Lo stupore si è trasformato velocemente in pura emozione, non c’era un solo sentore che potesse indicare un viaggio volto al termine. Il fruttato era ancora vivo e stimolante, la parte terziaria leggera e non dominante, quel piccolo legno che appena messo il vino in commercio si faceva notare, ora era perfettamente integrato e aveva lasciato al vino il compito di raccontarsi.
Al primo sorso l’emozione è cresciuta ulteriormente: tanta freschezza ancora viva, che sosteneva perfettamente l’impalcatura solida e di notevole eleganza; sentire addirittura l’arancia rossa e guizzi di rabarbaro mi ha spiazzato, la presenza di un leggero strato di porcini, humus e cuoio testimoniava solo che il tappo è in sughero e un’evoluzione ci deve essere per forza! Magari ginepro, magari ciliegia in confettura, magari una balsamicità rinfrescante, ma di segni di irrecuperabile decadenza neanche l’ombra.
A voler essere cattivo avrei potuto dargli una decina d’anni, non certo 29!
Sono queste le ragioni per cui, ancora oggi, scrivere e raccontare di vino non smette di darmi gioia, pur con la consapevolezza che non è acqua e va bevuto in quantità moderata, possibilmente accanto a un buon piatto.
Come diceva il buon Yoda: “Difficile da vedere è. Sempre in movimento il futuro è”.
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