di Luciano Pignataro
Alla fine degli anni ’90 Antonio e Nicodemo Librandi scelsero Donato Lanati come enologo e fu l’inizio di una rivoluzione profonda e radicale. I rossi messi in cura dimagrante, restituendo al Gaglioppo lo stile poco colorato nel bicchiere e ritornando alle origini facendo piazza pulita di quelli che ritenevano un difetto la mancanza di colore rosso rubino.
L’inizio della collaborazione fu anche segnato dal recupero in purezza di due uve, il Magliocco e il Mantonico da cui sono stati prodotti i due nuovi vini che ancora oggi segnano il lavoro svolto a distanza di vent’anni: il Magno Megonio e l’Efeso.
Anche in questo caso, anticipando di molto i tempi, si scelse di non eccedere con surmaturazioni ed estrazioni, ma di procedere cercando di salvaguardare soprattutto la freschezza e il frutto nel bicchiere.
Nel corso degli anni il Magno Megonio è diventato una bandiera di Librandi e del vino calabrese, fu il primo esempio di Magliocco in purezza, scelta che ha stimolato soprattutto i produttori cosentini che ne hanno fatto un vitigno identitario pur nelle diverse, talvolta opposte, interpretazioni.
Diversi assaggi di Magno Megonio, un Val di Neto igt, nel corso di questo quarto di secolo ci hanno convinto che il vino, così come è concepito, inizia ad esprimere il meglio di se dopo il quarto, quinto anno dalla vendemmia, ovviamente a seconda delle annate. Verticali storiche hanno confermato la predisposizione di questa uva al lungo, anche lunghissimo invecchiamento grazie al quale il vino sviluppa piacevoli terziarie pur conservando una sua sostanziale leggerezza.
Il vino nasce da uve coltivate nella Tenuta Rosaneti in agro di Rocca di Neto, sulla parte più alta per la precisione, e può essere ritenuto a tutti gli effetti un cru. Si parte da una bassa resa per ettaro, circa 65 quintali, la fermentazione e la macerazione per un paio di settimane viene fatta in acciaio, successivamente si usano barrique nuove per un anno a cui seguono sei mesi di bottiglia.
Viene commercializzato a due anni dalla vendemmia.
A Ferragosto abbiamo aperto una 2014 che giaceva da anni in cantina per abbinarla ad un robusto timballo siciliano di anellini rinforzato alla napoletana (con carne e uova). La bottiglia ha subito dimostrato grande vivacità, con un naso di frutta rossa arricchito da note di macchia mediterranea e balsamiche. Una freschezza complessiva che abbiamo ritrovato anche al palato con un sorso equilibrato, piacevole, lungo, sapido con finale amaricante molto pulito e preciso, l’alcol a 14,5 gradi ha praticamente fatto da comprimario perché la sensazione principale è stata quella di un ristoro dissetante e sgrassante grazie alla presenza di tannini ben lavorati e molto efficaci sul piatto decisamente strutturato. Incredibile la perfetta fusione, al naso come al palato, fra il legno e il frutto, del resto centrato sin dal primo anno.
Un vino di quasi dieci anni che alla cieca sarebbe stato difficile definire come tale, segno che ha di fronte ancora un lungo cammino.
L’ultima nota che vogliamo fare riguarda il prezzo: in rete questa straordinaria bottiglia si trova anche a 15 euro, decisamente a favore dell’appassionato e del consumatore che, se ha pazienza di aspettare qualche anno, fa una gran bella figura nel presentare questo grande vino, lo squillo di tromba della rinascita del vino calabrese di cui adesso iniziamo a vedere, euforici, i risultati: anche perché il bello deve ancora venire.
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