di Roberto Giuliani
Quando ho deciso di proporvi un rosso d’antan avevo sperato di avere in cantina ancora una bottiglia di quel meraviglioso Flaccianello della Pieve ’88 che mi rimase nel cuore quando lo assaggiai nel 2001 (chissà se avrebbe retto fino ad oggi…), ma purtroppo non ne avevo più.
Il Flaccianello della Pieve nasce nel 1981 dal vigneto omonimo, per mano di Franco Bernabei, enologo che non ha certo bisogno di presentazioni, e Giovanni Manetti, direttore generale dell’azienda Fontodi, acquistata dal padre nel 1968, e oggi al terzo mandato come Presidente del Consorzio Vino Chianti Classico.
In realtà, fino all’ingresso di Giovanni, la famiglia Manetti era conosciuta per la lavorazione di cotto pregiato, proveniente dall’Impruneta, ma la sua indole era diversa: amante della natura, si è subito innamorato della vigna ed ha lavorato con grande impegno e volontà, arricchendo la sua esperienza sul campo, studiando e visitando le più importanti zone viticole del mondo.
Nella mia cantina, tra le vecchie annate ho ancora a disposizione un quartetto 94-97, visto che siamo nel 2024, sebbene sulla carta è l’annata più “debole”, ho scelto la ’94, trent’anni dalla vendemmia mi sembrano un bel test per un sangiovese in purezza come questo, dal carattere certamente forte e indomabile. Vediamo com’è andata…
Apro una parentesi sull’etichetta, decisamente malconcia (e la retro è anche peggio), frutto di una conservazione fatta il primo anno dopo l’acquisto, in una cantina sotterranea che aveva un’umidità quasi del 100%. Dal secondo anno ha riposato fino ad oggi nella cantina climatizzata che avevo acquistato.
Bene, ho estratto il tappo senza difficoltà, integro e dalla tenuta rassicurante.
Verso il vino con delicatezza nel calice, tutto fila liscio, nessun deposito e colore granato-aranciato trasparente senza particelle in sospensione.
Lo lascio respirare qualche minuto, giusto per permettergli di aprirsi un po’, poi faccio la prima immersione olfattiva (in realtà è la seconda, in quanto avevo già sentito subito come stava, per tranquillizzarmi…) e noto con piacere che è un profumo ancora vivo, invitante, senza puzzette o sensazioni troppo evolute.
Ragazzi, cosa posso dire, a me questo bouquet piace di brutto, non voglio elencarvi tutti i sentori, ma in sintesi è evidente una componente terziaria (e ci mancherebbe!) ma molto fine, è un trionfo del sottobosco, ma dai toni freschi, tanto da sciorinare una preziosa arancia sanguinella, poi tante spezie, dalla cannella alla curcuma, passando per il tabacco da pipa e il cuoio lavorato.
In bocca è pura seta, il tannino è dolce e la trama fruttata riesce ad emergere vincendo sulla parte terziaria, più soffusa, quasi timida; ma quello che più mi impressiona è la vena acida, ancora vivissima, vibrante, un vero piacere per i sensi. Certo, l’annata mette in evidenza che non ha un corpo possente, ma chissenefrega! È buonissimo e ancora pimpante, non potrei chiedere di più da un sangiovese di trent’anni. Per me è pura poesia, e stasera me lo porto al ristorante e ne offro un calice allo chef, sicuro di fargli un bel regalo.
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