di Roberto Giuliani
L’anno scorso l’azienda fondata da Lorenzo Scavino e suo figlio Paolo a Castiglione Falletto compiva 100 anni, era il 1921 quando quest’uomo di Grinzane Cavour ebbe l’intuizione di spostarsi a Castiglione e acquistare la cantina in un territorio benedetto per la produzione del Barolo. Allora la vite occupava solo una parte del lavoro, c’era l’allevamento di mucche, il frutteto e il grano. Nel 1951 Enrico, figlio di Paolo, appena finita la scuola elementare, non ebbe esitazioni, la passione del papà lo spinse subito a voler imparare il lavoro in vigna e cantina per poterlo affiancare. Nel 1978 con il Barolo Bric del Fiasc, solo 3000 bottiglie, ottenuto da un singolo cru e frutto proprio dell’impegno di Enrico che ne aveva individuato le grandi potenzialità, l’azienda riceve il primo grande riconoscimento a livello internazionale. Da quel momento è iniziata la costruzione della nuova cantina, sono entrati legni nuovi, vasche d’acciaio inox a temperatura controllata e tutto ciò che di meglio offriva la tecnologia. Oggi sono Enrica ed Elena, quarta generazione, a condurre l’azienda, ma il vino di cui vi racconto ora è ancora frutto del lavoro del papà. Si tratta del Barolo Rocche dell’Annunziata Riserva 1990, proveniente dal cru omonimo (oggi Menzione Geografica Aggiuntiva) di La Morra, sicuramente fra i più ambiti per il suo altissimo pregio e la capacità di dare vini di notevole eleganza, tanto da essere condiviso da una ventina di produttori, fra cui Bartolo Mascarello, Aurelio Settimo, Rocche Costamagna, Mauro Veglio, Roberto Voerzio, Renato Corino, Renato Ratti e altri.
Avendone una sola bottiglia ho detto alcune preghiere prima di stapparlo, sapendo che potevo andare incontro a problemi più o meno seri con il tappo. Per fortuna è andato tutto bene, niente TCA né rotture in fase di apertura. E meno male! Perché mi sono trovato davanti un grandissimo Barolo!
Il colore è granato tendente al mattonato, ovviamente deve passare un po’ di tempo affinché si ossigeni e riprenda vita, infatti poco a poco tendono a sparire le note riduttive e a rigenerarsi il bouquet; ecco affiorare la prugna e la ciliegia mature (ma non sotto spirito), scatola di sigari, cuoio, humus, radice di liquirizia, note ferrose ed ematiche, goudron, leggero chiodo di garofano; con il passare dei minuti è come se si ringiovanisse, appaiono fiori macerati, una punta di arancia rossa, spezie officinali, carne, funghi, cacao amaro.
All’assaggio è sorprendente, appare più giovane e fresco, con un frutto vivo e un tannino ormai in perfetta armonia, tonalità balsamiche e un ritorno di liquirizia e cacao accompagnano un finale dal tocco raffinato e persistente, senza alcun cedimento. Una gran bella prova da un millesimo che non sempre ha mantenuto le attese, ma in questo caso siamo di fronte a un vino di pregiata fattura.
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