
di Stefano Tesi
Anche al netto dell’innegabile fascino di una degustazione che avviene nel salone delle feste di uno dei più bei palazzi fiorentini, letteralmente a dieci metri da Palazzo Vecchio, e di proprietà di una delle più antiche famiglie della città, i marchesi Gondi, l’appuntamento con una verticale di alcune annate più iconiche dell’ultimo mezzo secolo di Villa Bossi era, durante le Anteprime Toscane, oggettivamente irrinunciabile. Anche perché il Villa Bossi è da sempre il vino-emblema di questa storica azienda del Chianti Rufina: era il 1878 quando Carlo Gondi – racconta oggi Gerardo, che sta raccogliendo dal padre Bernardo le redini della Tenuta – partecipò all’Expo di Parigi e vinse vari premi con questo rosso ricavato storicamente dal vigneto Poggio Diamante, messo a dimora dalla madre dello stesso Carlo.
Era invece il 1972, cinquant’anni fa, quando il pronipote Bernardo Gondi fece il suo ingresso da “capo” nelle grandi cantine sotto la villa, appartenente alla famiglia dal 1592.
Dei dieci lustri trascorsi da allora, sono state scelte per la degustazione le annate 1979, 1982, 1992, 1997,2000, 2003, 2007, 2012, 2015, 2016 e 2018, tutte a loro modo espressive degli stili e delle mani che le hanno create.
Quella che però ci ha colpito di più per la sua integrità e per l’appeal che, lo ammettiamo senza vergogna, indubbiamente esercitano su di noi le bottiglie molto vecchie, è stata la prima, la remotissima 1979. Anche perché non è frequente assaggiare vini di 44 anni.
“E’ un vino che feci da me”, rammenta Bernardo Gondi. “L’enologo arrivò infatti nella nostra fattoria sono nel 1984. Usammo uve di Sangiovese, Colorino ed altre presenti allora nella vigna. La fermentazione avvenne in tini di cemento, poi lo passammo per trentasei messi in botti di rovere. Si tratta di un’annata ritenuta molto buona, grazie a un’estate calda e asciutta con forti escursioni termiche”.
Nel bicchiere colpisce innanzitutto il colore, un rubino caldo ancora vivissimo.
Come molti grandi vecchi, al naso il vino è cangiante e procede a ondate che assecondano il trascorrere dei minuti, sempre però mantenendo una grande finezza: è elegante, con note di caffè che si evolvono in sentori mentolati e quasi balsamici, accenni di terriccio, echi di alloro e qualcosa di salmastro.
Al palato è profondo e seducente, con una sapidità esplicita che lo rende lunghissimo e gioca sull’eleganza di un impianto tanto solido quanto fine, direi anzi leggiadro.
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