di Luciano Pignataro
Nella vita ci vuole sempre un po’ di fortuna, ed eccoci qui allora attovagliati da Gennaro Esposito alla Torre del Saracino dove il sommelier Gianni Piezzo conosce ogni spigolatura dei miei vizi nel bicchiere, a cominciare dalla passione per i bianchi invecchiati. Come ogni ristorante, Gianni tiene dei fuori carta, ultime bottiglie che non possono essere presentate perché magari ultime o semplicemente perché invecchiate. Questa 1992 di Walter Massa l’aveva beccata riordinando l’immensa cantina di Gennaro che negli anni ’90 ha comprato di tutto e di più testimoniando così la rivoluzione enologica italiana post metanolo, nel bene come nel male.
Walter Massa è personaggio mitico della viticultura italiana.
Classe 1955, erede di una famiglia di vignaioli al lavoro dalla fine dell’800, ha l’intuizione di resuscitare un bianco minore del Basso Piemonte di cui quasi si erano perse le tracce. I suoi vini sono divenuti un riferimento assoluto, a cominciare dal Derthona, antico nome di Tortona, e dei cru Costa del Vento e Sterpi. Il software anarcoide di Walter applicato all’hardware della metodica pignoleria piemontese realizzano il miracolo, la nascita di un grande bianco ad opera di un’azienda impegnata con il Barbera in terra di grandi rossi.
Il 1992 è proprio l’anno della svolta, sono passati 30 anni da allora ma quel termine, raro vitigno, ci riporta ancora più indietro, in un’epoca in cui le etichette non erano così burocratizzate al punto di negare talvolta l’ovvio. Un vino che anticipa la vera e propria svolta del 1995, quando Walter subisce l’influenza di Gravner e inizia lavorare anche sulle macerazioni.
“Che ne dici di aprire questa? E’ l’ultima”. Gianni Piezzo strizza l’occhio, io li strabuzzo e mi chiedo se, in questa giornata uggiosa riscaldata alla tavola di Gennaro e dalla compagnia di cari amici, sogno o son desto. Tappo perfetto, il bianco color camomilla (esiste?) viene versato nei grandi calici di rosso, ovviamente a temperatura di cantina come si conviene con i bianchi invecchiati. Nonostante l’età, il vino non presenta alcun problema, niente traccia di ossidazioni e neanche di ridotto: è solo una grande esplosione di sentori di pasticceria, crosta di pane, cedro, zafferano, thè, con un naso ricco che crea aspettative dolci al palato, aspettative per nulla corrisposte: al palato il bianco esprime una energia vitalistica insospettabile, straordinaria, assolutamente secco, composto, pulito. Un vino “non disunito” (cit.) ma assolutamente coerente sino al finale lungo ed esaltante che lascia il palato assolutamente appagato e pulito.
Abbiamo ancora bisogno di scrivere quanto siano sottovalutati i vini bianchi in Italia? Ad ogni modo questa beva sancisce a immortalità del Timorasso e dunque non c’è limite alcuno alla longevità dei vini di Walter.
La bottiglia? Due bicchieri per unno ed è bella che finita, e neanche un Biondi Santi 1998 ne ha cancellato il ricordo emozionante.
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