di Andrea Petrini
Conosco Leon Femfert da almeno 10 anni, mi ricordo benissimo quando, attraversando una stradina boschiva che pensavo non finisse mai, mi ritrovai all’improvviso presso Nittardi, l’azienda agricola di famiglia che dal 2013, dopo aver lavorato tra la Napa Valley e il Cile, ha cominciato a gestire affiancandosi ai genitori, Peter Femfert e sua moglie Stefania Canali, apprezzati galleristi in Germania.
In quel periodo l’azienda Nittardi non era ancora all’apice della sua popolarità tra gli appassionati di Chianti Classico ma, al tempo, ciò che mi spinse fino a Castellina in Chianti e conoscere Leon sicuramente la curiosità di approfondire il legame profondo che questa azienda ha sempre avuto con l’arte tanto che, è dimostrato, nel XVI secolo questa tenuta fu di proprietà̀ di Michelangelo Buonarroti che, da lì si faceva inviare il vino a Roma da offrire a Papa Paolo III.
Non solo. Dal 1981, la vocazione eno-artistica della famiglia Canali-Femfert, grazie anche al loro lavoro, è talmente viva che, per ogni annata, un artista infatti viene invitato a vivere la realtà di Nittardi e da lì a creare due opere, una per la carta seta che impreziosisce ogni bottiglia e una per l’etichetta, che esprime ogni anno con diverse sfaccettature, con la stessa intensità, il valore del vino interpretato dall’artista. Tanti i pittori, musicisti, scrittori, coinvolti in questi anni, tra i quali spiccano nomi illustri come Hundertwasser, Yoko Ono, Günter Grass, Igor Mitoraj, Dario Fo, Mimmo Paladino, Fabrizio Plessi. L’annata 2021 è firmata dal regista e scrittore Premio Oscar James Ivory, che ha vestito al meglio il Casanova di Nittardi avvalendosi in modo raffinato dell’arte del collage, utilizzata con profluvio cromatico anche per la carta seta “Omaggio a Matisse”.
Per la rubrica InvecchiatIGP, però, non volevo parlare di arte, cosa che non mi compete, ma del Chianti Classico Riserva 1999 che ho avuto la fortuna di degustare qualche tempo fa a Roma durante un pranzo con lo stesso Leon Femfert che, anno dopo anno, vedo sempre più dentro il “progetto Nittardi” che oggi può contare su 40 ettari vitati, condotti secondo la viticoltura biologica dal 2014, suddivisi tra Castellina in Chianti e la Maremma.
Il vino, sangiovese al 90% con saldo di merlot, inizialmente parte male, sembra stanco, lento, addirittura cambiamo la bottiglia iniziale perché si pensa non sia a posto al 100%. Seconda bottiglia, secondo Chianti Classico Riserva e stesso vino, timido ed impacciato se confrontato con l’annata 2010 degustata pochi minuti prima. Poi, pian piano, quasi per magia, il brutto anatroccolo si trasforma in cigno, le piume grigiastre iniziali col passare del tempo e dell’ossigenazione diventano candide come il latte. Infatti, i sentori aromatici di questa Riserva, inizialmente chiusi e poco interessanti, mutano col tempo esplodendo in sensazioni di viola, rosa, arancia sanguinella, resine balsamiche e macchia marina.
Un vino non giocato sulla potenza ma sussurrato anche in bocca dove entra in punta d piedi accarezzando il palato con un tannino misurato e giusta freschezza. Non un campione in persistenza ma, come emblema di equilibrio ed armonia, questo vino lo farei degustare all’interno dei corsi di sommelier per far capire agli aspiranti degustatori come deve essere un ottimo Chianti Classico dopo quasi 15 anni in termini di coerenza con una grande annata nel territorio come la 1999.
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