di Carlo Macchi
Pfarrhof, secondo il traduttore di Google, in italiano vuol dire “canonica”. La mia assoluta ignoranza della lingua tedesca non mi permette di valutare l’esattezza della traduzione ma sicuramente se c’è un Lago di Caldaro canonico per aromi, corpo e rispondenza al vitigno è proprio il Pfarrhof 2014.
Se negli anni ‘70 e ‘80 esisteva in Italia una denominazione con meno credito del Chianti questa era proprio il Lago di Caldaro e il tutto si inquadrava in una regione viticola dove la Schiava era il vitigno più piantato e in più coltivato con rese estremamente alte. Questo portava a vini scarichi di colore, aciduli, poveri di corpo e naturalmente il mercato (soprattutto quello tedesco) girò le spalle a questa denominazione.
Quando l’Alto Adige iniziò a pensare di produrre vino di qualità la prima cosa fu spiantare schiava per sostituirla con altre uve e questa tendenza, che ha portato la schiava altoatesina dal più del 70% del parco vitato a poco sopra il 10%, è continuata sino ad oggi. C’è anche un altro punto che continua a penalizzare la schiava, almeno tra diversi vecchi produttori, e cioè l’idea che sia comunque un vino povero, troppo leggero, non adatto al momento attuale.
In realtà è vero proprio l’opposto, perché il mercato richiede sempre più vini leggeri ma di buon corpo, poco tannici, profumati e, se possibile, abbastanza serbevoli.
Nel mondo della schiava altoatesina, che da almeno 10/15 d’anni sta proponendosi con sempre più sicurezza (anche con vini che possono invecchiare, per fortuna) Il lago di Caldaro moderno sta piano piano risalendo la china e propone molte etichette di alto profilo che hanno anche l’innegabile vantaggio (per noi bevitori) di costare veramente poco.
Il Pfarrhof, Lago di Caldaro Classico Superiore (sulle 12 tipologie della denominazione meglio tacere…) della Cantina Sociale di Caldaro/Kaltern proviene, per disciplinare, solo da vigneti attorno al Lago di Caldaro e dovrebbe essere una schiava in purezza, ma il disciplinare permette fino al 15% di altre uve e personalmente credo che in questo 2014 una piccola percentuale di lagrein ci sia. Lo deduco dal colore che è ancora sul rubino, scarico ma brillante, mentre il naso è proprio quello della schiava, con ancora note di frutta di bosco e un inizio di terziari che portano verso erbe officinali. La bocca è fresca, netta, elegante per una tannicità solo accennata ma che indirizza la beva e la rende estremamente piacevole e persistente.
Rendiamoci conto che stiamo parlando di una schiava di nove anni, di un vino che normalmente si pensa, e sottolineo si pensa, debba essere bevuto nell’arco dell’anno successivo. In più siamo di fronte ad una 2014, che è stata sicuramente una vendemmia piovosa, fredda, difficile.
Se non fossi un discreto conoscitore della schiava altoatesina griderei al miracolo: non lo faccio solo per far capire che questa bottiglia non è un caso isolato e che sia il Lago di Caldaro che soprattutto il Santa Maddalena e in generale la Schiava DOC è oramai in molti casi un vino da invecchiare con tranquillità e da comprare con piacere, visti anche i prezzi veramente molto convenienti.
Non so se questo vino si potrà ancora trovare in commercio, quindi il grazie a Andrea Moser, Kellermeister di Kaltern che me l’ha regalato, è ancora più sentito.
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