di Carlo Macchi
Non ho mai fatto mistero del mio apprezzamento per i vini di Butussi, dei quali in generale apprezzo non solo la precisione, la finezza e l’eleganza, ma anche la dimensione di compostezza all’interno della quale essi nascono. E che mi pare lo specchio perfetto della stessa filosofia familiare, ossia una giusta miscela di realismo, di coerenza alle proprie dimensioni e di una capacità di visione enoica attenta ma senza fronzoli, frutto di un coraggio e un pragmatismo molto friulani.
Ne è un lampante esempio l’abitudine di rimettere in commercio tutti i cru aziendali otto anni dopo la prima uscita, tanto per capire non solo l’evoluzione del prodotto in sè, ma anche il suo impatto sul consumatore e sui gusti del pubblico.
Già anni fa, con risultati lusinghieri, mi ero imbattuto nel loro Genesis, un Friuli Colli Orientali Doc, Sauvignon 100%, biologico dal 2013, proveniente dalla Madonna dell’Aiuto, una piccola vigna (mezzo ettaro e poco più) di fondovalle tra San Biagio e Rosazzo, piantata nel 1990, dove le correnti della montagna si incontrano e – spiega Filippo Butussi, che è anche l’enologo dell’azienda di famiglia – provocando forti escursioni termiche consentono all’uva di maturare molto più lentamente, anche dieci giorni dopo rispetto alle quote più alte, e di dare al vino una forte impronta territoriale.
Assaggiare il Genesis in verticale (2000-2007-2022-2014-2015-2019-2021) è stato però tutto un altro paio di maniche.
Tra le varie annate, sebbene con scarti in qualche caso davvero minimi, ci è piaciuta più di tutte le 2014, che abbiamo trovato di grande personalità e di un equilibrio quasi olimpico.
All’occhio in vino si presenta di un color oro carico e brillantissimo. Al naso l’impatto è gentile, con una varietalità che lascia subito il campo a un ventaglio di sentori cangianti e delicati, dei quali alla fine nessuno prevale: toffees, frutti tropicali, accenni agrumati, fiori appassiti si affacciano, scompaiono, poi tornano. Tutte sensazioni che si riaffacciano con grande eleganza a livello retronasale e in bocca, dove emerge una netta nota citrica e l’acidità si fa ben sentire. Ne esce una bevuta gratificante, lunga, profonda, a tratti perfino provocante, che si pone esattamente a metà tra l’esplosività delle annate più recenti e l’affascinante maturità di quelle più vecchie.
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