di Andrea Petrini
Ci sono gli inviti e poi ci sono gli Inviti, sì quelli con la i maiuscola, quelli a cui proprio non puoi dire di no soprattutto se ad inviarteli è la famiglia Trimani, storici enotecari che hanno fatto la storia del vino qua a Roma. L’occasione, imperdibile, riguarda la degustazione di una piccola verticale di Torre Ercolana, un vino del Lazio, per certi versi unico nel suo genere, del quale noi sommelier in erba ci siamo innamorati solo leggendo le bellissime parole di Armando Castagno sul numero 32 della rivista Bibenda.
Il Torre Ercolana nasce ad Anagni attorno alla metà degli anni 40’ dall’intuizione del maestro Luigi Colacicchi, compositore ed etnomusicologo molto conosciuto in quel periodo, che, innamoratosi dei vini di Bordeaux, dopo la Seconda guerra mondiale decise di piantare in zona Romagnano, una fascia collinare che dalla città dei Papi va verso Ferentino, barbatelle di merlot e cabernet sauvignon accanto al vitigno principe del territorio ovvero il cesanese di Affile. Il vino, la cui prima annata fu il 1947, era talmente buono e talmente fuori gli schemi di allora che, qualche anno più tardi, entro nei “radar” di Marco Trimani, proprietario dell’omonima enoteca storica romana, tanto che questi decise di commercializzarlo inserendolo nelle carte dei vini dei più importanti ristoranti italiani dell’epoca.
Dopo la morte del Maestro Colacicchi, avvenuta nel 1976, l’attività agricola fu condotta per un breve tempo da suo nipote Bruno Colacicchi Caetani fino a quando, nel 1984, la famiglia Trimani decise di acquisire definitivamente l’azienda con l’intento e l’esigenza, grazie anche all’aiuto di Giacomo Tachis, di rinnovare profondamente sia i vigneti (aumentando la quota di cabernet sauvignon sostituendo i porta-innesti) che la cantina dove il parco legni è stato gradualmente sostituito con barriques e botti di rovere da 480 litri. La prima annata di Torre Ercolana prodotta dalla famiglia Trimani è stata la 1990 ma bisogna aspettare il 2014 affinché il progetto agricolo attorno all’azienda Colacicchi trovi nuovo impulso grazie alle energie di Carla, Francesco e Paolo Trimani, figli dell’indimenticato Marco, grazie ai quali, pochi mesi fa, ho avuto la fortuna di degustare una indimenticabile 1980.
La prima cosa che salta agli occhi, già dal colore, è la quasi totale assenza di cenni di ossidazione il che la dice lunga sulla vivacità di questo taglio bordolese “made in Anagni” la cui lucentezza trasuda i segni di una gioventù che stenta ad arrendersi cromaticamente.
Appena metto il naso nel bicchiere arriva la scossa, intensa e viscerale e penso che no, non può essere vero, non nel Lazio. Lo so, erano altri tempi, forse c’era un altro clima o una spensieratezza diversa, chissà, ma ciò che ora è nel mio bicchiere ha a che fare con qualcosa di immaginifico, impalpabile, la cui stratificazione aromatica ha nelle mille declinazioni odorose del viola il suo comun denominatore. Il tempo nel bicchiere non fa che arricchire ulteriormente il vino che, grazie all’ossigenazione, inizia a sprigionare sensazioni di scorza di arancia, erbe officinali essiccate, felce, canfora.
Lo assaggi è da subito capisci la grandezza di questo vino grazie ad una bocca ancora armonica, elegante, profonda, dotata di tannino ancora vivo e fittissimo e ricco di sapienti richiami floreali. Come già scritto in passato, il Torre Ercolana 1980 è un vino che ti fa ripartire da capo, ti convince che forse nel Lazio si può giocare un’altra partita e, probabilmente, la famiglia Trimani, oggi, già sta affrontando la sfida.
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