Si rincorrono voci di accaparramento ai supermercati, ma, come abbiamo già fatto con l’intervista a Giuseppe Di Martino per quanto riguarda la pasta, possiamo tranquillamente dire che non c’è alcun motivo per soffrire di panico. Nei prossimi mesi il principale problema per tutti noi, nonostante la drammaticità della situazione, resterà la dieta e non la fame.
Questo ovviamente non significa che non ci siamo punti critici di cui dobbiamo prendere coscienza.
Ne parliamo con Antimo Caputo, amministratore di quarta generazione dell’omonimo Mulino.
“Ho letto con interesse l’intervista all’amico Giusppe Di Martino e concordo su quanto detto in merito al grano duro. Il primo problema è che la gente comune non distingue fra grano duro e grano tenero. Per dare una idea del problema nelle sue dimensioni globali cominciamo con il dire che il grano duro, eccellenza soprattutto italiana, rappresenta solo il 4, 5% della produzione totale, il resto è grano tenero”.
L’invasione dell’Ucraina mette a rischio però il mercato globale essendo il paese da sempre uno dei granai del mondo.
“E’ verissimo dal punto di vista finanziario. Non lo è, almeno nelle stesse dimensioni, per quanto riguarda il prodotto in quanto tale. L’Ucraina e la Russia insieme producono il 30 per cento del grano tenero del mondo e venendo di colpo a mancare è ovvio che i prezzi del grano tenero, una vera e propria commodity che ha un suo mercato finanziario, schizzino alle stelle. Un po’ come succede con il petrolio: la materia prima non manca, si alza di prezzo per questo motivo, per la siccità in Canada dello scorso anno e per le evidenti manovre speculative dei mercati finanziari che giocano sul sentiment piuttosto che sul mercato reale”.
Qual è la situazione italiana?
“Noi siamo costretti ad importare circa il 60% di grano tenero e questo, visti i nostri consumi, è un dato destinato a durare perchè stutturale, ossia noi siamo un paese piccolo senza gli spazi necessari per coltivare tutto il grano tenero che ci serve. Possiamo ridurre la percentuale, ma non saremo mai autosufficienti per il grano tenero come possiamo esserlo per quello duro. Però dobbiamo anche sapere che dall’Ucraina noi importiamo appena il 3, 4% del nostro fabbisogno nazionale. Il nostro fornitore principale resta l’Europa stessa che è anche primo produttore al mondo di grano tenero. Per dare una dimensione, noi europei produciamo 130 milioni di tonnellate, la Russia, secondo produttore, appena 30. Si capisce dunque perchè noi non avremo mai carenza di grano tenero, considerando il fatto che abbiamo anche il mercato americano dove poterci approvvigionare. Non c’è alcun motivo per fare acquisti isterici che arricchiscono gli speculatori”.
Però i prezzi sono impennati.
“Vero, siamo passati da 300 a 500 euro per tonnellata di grano tenero. Il motivo è antico come l’uomo: il grano è uno strumento politico e di guerra da sempre, dall’antichità. Con la guerra, il venir meno del grano ucraino, l’aumento dei costi dell’energia e le speculazioni finanziarie si è realizzata la tempesta perfetta su questa commodity. Un po’ come per il gas, che aumenta sulla paura che possa aumentare”.
Su chi ricadono le conseguenze?
“Soprattutto su chi fa la nostra attività, perchè noi siamo la cerniera fra chi produce e chi consuma. Questa tempesta rende insicuro qualsiasi contratto e qualsiasi accordo. Sinoa poco tempo fa era impensabile non ricevere un carico ordinato e pagato, adesso bisogna stare attenti. Proprio l’andamento del prezzo spinge molti a giocare al rialzo, fare scorte, vendere al miglior offerente o aspettare che il prezzo rialzi ancora ed è difficile lavorare”.
E sul consumo finale?
Un po’ come per la pasta, si possono avere rialzi impressionanti in percentuale ma nei fatti quasi nulli nella percezione di chi acquista perchè i prezzi sono stati bassi, bassissimi negli ultimi decenni. Basti pensare che un chilo di farina costa al momento dai 60 ai 70 centesimi, un chilo di grano, anche considerando il massimo prezzo raggiunto in questi giorni, 50 centesimi. Ma con un chilo di farina si fanno 4, 5 pizze che vengono rivendute dai 4 a 12 euro se parliamo di margherita. E un chilo di pane una persona normale lo consuma dai quattro ai sei giorni. Insomma, al consumo gli effetti saranno sicuramente sostenibili per tutti.
Cosa ci insegna questa storia?
Si vis pacem para bellum dicevano i latini. Questo vale per le armi ma sopratutto per il cibo e l’energia. Il nostro Paese non ha premiato negli ultimi 40 anni chi si dedica alla terra con il giusto reddito e abbiamo fatto discutibili scelte sul piano energetico. Mi auguro che l’Europa affronti questi temi cogliendo la palla al balzo da quello che è successo e che ci si ponga il problema dell’autosufficienza alimentare ed energetica. Non sono obiettivi impossibili, basta porseli e realizzarli. Dobbiamo avere la capacità di mettere al riparo il prodotto dalle speculazioni finanziarie e restituire all’agricoltura la sua centralità nella vita di ogni paese.
Dunque inutile fare la fila al supermercato?
Direi proprio di si. Chi fa acquisti esagerati adesso fa la figura di chi vende le azioni preso dal panico: alla fine ci perde. Anche alla luce del fatto che non corriamo pericoli di carestie, la paura atavica dell’uomo di restare senza cibo oggi è una leva per gli speculatori, ma è, per fortuna, molto lontana dalla realtà.
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