Il vino innaffia il Mezzogiorno
di Mario Vella
Il vino italiano è in crisi. Oltre all’infinita staffetta coi cugini transalpini, di cui al momento vediamo le spalle, per la prima volta sentiamo dietro il collo il soffio dei compañeros iberici. Un avvertimento quello del presidente nazionale della Cia-Confederazione italiana agricoltori, Giuseppe Politi, secondo il quale “negli ultimi mesi il mercato è del tutto fermo per i vini di alta gamma e per quelli di bassissima qualità, tanto da portare ad una diminuzione dei prezzi all’origine dei primi ed a richiedere una distillazione di crisi per i secondi”. Secondo Luciano Pignataro,giornalista del Mattino ed autore di guide sul vino e la gastronomia del Mezzogiorno, la crisi non colpisce tutto lo stivale: “Come sino a qualche anno fa si faceva l’errore di dire che un’annata era buona o cattiva a seconda di come era andata in Toscana e Piemonte, così ora bisogna evitare di confondere la crisi di vendite di alcune regioni conquel che succede nel resto del paese – precisa Pignataro– Il Sud infatti va abbastanza bene, la Sicilia è esplosa, Campania e Basilicata volano, anche la Puglia non può lamentarsi. Il problema è che nel giro di pochi anni il costo del vino è cresciuto in maniera abnorme, troppe etichette senza storia venivano immesse nel mercato a prezzi altissimi perché si pensava fosse questo il miglior modo divendere – sottolinea l’esperto del gusto – Nel vino è accaduto lostesso fenomeno della Net-economy: allora ogni titolo quotato in borsa con un nome che contenesse com o net schizzava alle stelle a prescindere dai suoi parametri. Poi la bolla speculativa è scoppiata. Abbiamo visto la stessa parabola seguita da alcuni prodotti toscani e piemontesi, due regioni che più di altre stanno soffrendo. Insomma, una cosa è un Biondi Santi di annata, altra è un cabernet sauvignon o un merlot dei colli lucchesi!”.
Perchè le grandi aziende italiane non riescono ad essere competitive come una volta?
Anzitutto perché sono piccole nel mercato globale, un po’ come le banche. La forza e la debolezza del nostro sistema è dato proprio dalle piccole dimensioni dell’impresa. Poi ci sono stati altri fattori esterni, come l’apprezzamento del 30% in un anno dell’euro sul dollaro e questo ha pesato sull’export sul mercato americano dove siamo sempre al primoposto per valore. C’è poi il sistema di promozione troppo frazionato,gli enti si presentano in ordine sparso agli appuntamenti, si pensa di più a mettere le bandierine o, peggio ancora, a tenere le carte a posto per non avere problemi secondo l’antica regola della burocrazia borbonica per la quale quando non si fa non si sbaglia. Non si comprende che per un cinese o un americano è molto difficile distinguere tra Ribolla Gialla e Passito di Pantelleria, Val d’Aosta e Molise. Chi, ad occhio e croce, saprebbe dirmi dov’è l’Oregon senza guardare la cartina Usa?
La crisi riguarda le viti, gli enologi o i mercati sempre più competitivi?
Sicuramente è un problema commerciale: negli ultimi anni il miglioramento del prodotto è stato stratosferico, il fermento culturale, a volte un po’ da parvenue, è stato profondo investendo giovani, donne e ampi strati della popolazione come mai prima era accaduto. Basti pensare al fenomeno dei wine bar e alle iscrizioni allafacoltà di Agraria. Il problema è che noi italiani ci siamo riposizionati in un mercato saturo dove la competività è alta senza avere l’esperienza commerciale ultrasecolare dei francesi che pure hanno preso molte mazzate. Tutto sommato parlerei di crisi di crescita, non di ripiegamento, sono sicuro che lavorando sui prezzi gli italiani restano altamente competitivi nella fascia medio-alta di consumo.
Politi dice che la Spagna potrebbe addirittura superare l’Italia. Ci sono anche altri Stati che stanno facendo passi avanti?
La Spagna è un grande paese ed ha una storia statuale sicuramente più importante dell’Italia negli ultimi sei secoli. Il fermento culturale egastronomico è eccezionale, c’è voglia di innovazione, lo dimostra anche la vittoria di Zapatero, mentre noi e i francesi siamo in una fase di autocontemplazione museale, cosa importante ma sicuramente meno dinamica. Resta alla base la nostra tradizione gastronomica che si riassume in una considerazione banale: sicuramente i cuochi spagnoli sono più famosi dei nostri in questo momento, ma la cucina italiana, insieme a quelle cinese, francese e indiana, è la più diffusa e conosciuta al mondo. Dunque non credo in un sorpasso, queste cose non avvengono in pochi anni, ma hanno le loro radici nei tempi lunghi della storia.
L’Italia è lo Stato con maggiori vitigni autoctoni. E’ un punto di forza?
Certamente è una possibilità commerciale in più. Faccio un esempio banale: sarebbe mai emersa Taurasi come zona vitivinicola nel nostro paese con il cabernet? La risposta è facile. Il pubblico del vino è colto, cerca le novità, ama identificare ciò che beve con il territorio e la ricchezza italiana è sicuramente un patrimonio importante da questo punto di vista perchè giustifica i piccoli numeri e i prezzi. Se si beve un vino particolare, purché sia ben fatto, si è disposti a pagarlo senza discutere troppo il prezzo.
Anche le aziende campane stanno vivendo questa crisi o vanno in contro tendenza?
In tutte le province c’è un aumento degli investimenti, della superfice dichiarata a doc e della produzione. Eliminando Salerno e Caserta le cui produzioni sono di nicchia, la questione riguarda Napoli, Benevento eAvellino. Le prime due province stanno vendendo a gonfie vele, hanno mantenuto i prezzi bassi accentuando la tipicità del prodotto. AdAvellino invece la tradizione commerciale era ristretta alla sola famiglia Mastoberardino la quale non a caso non conosce rallentamenti grazie al nome, al prodotto e ai prezzi molto contenuti. I vini di Mastoberardino, come quelli di Terredora,sono sempre eccellenti, costano meno di molti Taurasi, Greco e Fiano spuntati nell’ultimo periodo e questo la dice lunga sull’improvvisazione che ha segnato l’ingresso di molti in questo settore. Purtroppo oggi Fiano e Greco, in media, sono i bianchi più cari in Italia mentre il prezzo del Taurasi è assolutamente esagerato enon giustificato dai costi e dalla storia. Il commercio e lacomunicazione non si inventano, proprio come il vino. La soluzione per tutti è mantenere fermi i prezzi per farli rientrare nella media italiana come hanno fatto i friulani andati fuori mercato negli anni ’90 e adesso rientrati alla grande. Ma quante aziende hanno la capitalizzazione necessaria per aspettare? Mi auguro di cuore tutte, ma non credo sia così.
Su quale vino la Campania dovrebbe puntare per essere più competitiva?
La ricetta è semplice, bisogna mantenere la diversità dell’offerta. La Campania è terra di bianchi, buoni, buonissimi, e di alcuni grandi rossi. Arricchire la proposta comerciale è uno dei segreti per restare in sella sui mercati, dunque fanno bene quanti stanno lavorando sui rosati, sui rossi di pronta beva, sul moscato e i vini dolci. La Campania ha piccole quantità, la produzione è di nicchia, deve perciò mantenere la caratteristica di pregio e di tipicità. Io sono molto ottimista, di anno in anno gli assaggi migliorano e soprattutto i produttori cominciano a capire che non devono battersi fra loro per piazzare labottiglia nella salumeria dietro l’angolo, ma unirsi per navigare nelmeraviglioso mare aperto del mercato globale. Con il Vesuvio che li sorveglia, possono solo sbagliare da soli a tirare il calcio di rigore che il destino ha fischiato a loro favore.
(pubblicata il 7 luglio su www.campaniasuweb.it)
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