di Pasquale Carlo
Caratteristica, riconoscibile, piacevole. Ecco i tre aggettivi con cui Guido Invernizzi, istrionico degustatore della delegazione AIS Milano, ha identificato l’indescrivibile barbera castelvenerese. Ha fatto registrare il tutto esaurito l’incontro organizzato dal Comune di Castelvenere, l’AIS sannita guidata da Mariagrazia De Luca e SannioWay, l’agenzia di servizi enologici curata da Andrea Vesce e Pasquale Di Nardo, e tenutosi giovedì sera nella insolita cornice della sala consiliare del comune più vitato del Sud Italia.
Non una semplice degustazione di vini serviti in forma assolutamente anonima, ma un percorso di conoscenza utile a cogliere spunti da una approfondita riflessione che ha voluto focalizzare l’attenzione sulle potenzialità e le sfide a cui è chiamato questo vitigno. Il vitigno barbera, coltivato in modo intenso nelle campagne della valle telesina, sconta con il suo nome l’accostamento ad un vitigno da cui si differenzia nettamente, sia dal punto di vista genetico/ampelografico che per le caratteristiche organolettiche. Una confusione, questa, che di certo non giova a raggiungere l’obiettivo di quella affermazione sul mercato nazionale e internazionale che le etichette hanno dimostrato di meritare.
Invernizzi ha utilizzato il termine inglese ‘smooth’ per descrivere, con una sola parola, tutta la piacevolezza di un sorso che si caratterizza per la sua grande amabilità, capace di raccontare, con estrema immediatezza e semplicità, il territorio d’origine.
Un filo rosso unisce le sei etichette servite in degustazione: la corrispondenza al gusto dei sentori e colori già avvertiti e visti nel calice. Insomma, un vino ‘autentico’. Il rosso porpora intenso, a tratti impenetrabile, la rosa, i frutti rossi e la piacevole aromaticità sono i segni distintivi di un sorso dalla grande carica polifenolica, dalla trama tannica vellutata, mai invadente. Caratteristiche che lo accostano ad altre denominazioni della penisola: il piemontese Ruchè di Castagnole Monferrato ed il marchigiano Lacrima di Morro d’Alba, non a caso protagonisti di una degustazione comparativa organizzata in occasione della Festa del Vino 2016. Accostamento, questo, più immediatamente rilevato nei primi tre calici degustati – annate 2016 – che pure hanno evidenziato diverse interpretazioni stilistiche: una moderna, una contadina ed una più tradizionale. A seguire le annate 2015, più equilibrate, con frutto maturo, per concludere con una 2013, longeva e speziata.
In sintesi, emerge ancora una volta la sensazione di trovarci di fronte ad un vino che dà il meglio di sé nei primi 2 anni di vita, nei quali si può godere appieno delle sue qualità. Questo è di certo un punto di forza: fare di questo vitigno il rosso sannita alternativo al più longevo aglianico. Impressioni ripetute più volte in questi anni, ma forse ancora non del tutto percepite dagli operatori che a volte percorrono strade diverse da quelle dei consumatori. In una cucina campana e nazionale che viaggia verso l’alleggerimento, questa “barbera” rappresenta un compagno ideale di molte interpretazioni, che non si fa indietro anche davanti a proposte di mare.
Al di là delle interpretazioni stilistiche, sempre ben riuscite, si avverte la necessità di un cambio di passo da parte dei protagonisti del territorio, che dovrà necessariamente passare per studi scientifici e ricerche mirate a dare la giusta dignità ad un vitigno storico che è stato e potrebbe continuare ad essere il testimone autentico di questa area del “vigneto Sannio”.
Ultimo, ma non per ultimo, la questione – sempre sollevata, ma mai affrontata seriamente – del nome. Ormai cinque anni fa la proposta, non da tutti digerita, dell’aggiunta del sinonimo “sanbarbato” alla produzione a denominazione di origine “Sannio”, con la possibilità data ai produttori di utilizzarlo oppure mantenere l’attuale “barbera”. In più occasioni gli interlocutori portavoce delle istanze di modifica hanno sollecitato i produttori a far emergere la reale volontà condivisa a percorrere questa soluzione. Oggi probabilmente la necessità è diversa: è il momento, non più procrastinabile, di fare scelte ancora più forti. Per acquistare la dovuta dignità ed affrontare in maniera efficace il mercato attuale, sempre più aggressivo, si avverte la necessità di avviare un processo che porti in tempi brevi alla risoluzione definitiva della questione pensando ad un lavoro mirato al cambio del nome del vitigno stesso. Non si tratta di proteggere interessi di tipo privato, ma di difendere la storia e le radici di una intera comunità.
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