di Marina Alaimo
La prima edizione di Leguminosa, il mega evento pensato da Slow Food Campania ed organizzato in collaborazione con Slow Food Italia, è stata un grande successo. I risultati ottenuti hanno sorpreso gli stessi organizzatori, ma non me. Ho grande fiducia nella squadra Slow Food Campania dove le nuove figure di giovani animati da grande passione ed onestà intellettuale rappresentano una energia vivace che dà maggior spinta al motore. Felicissima la scelta di portare la kermesse tra la gente e non attendere che il grande pubblico si sposti verso luoghi interni e poco frequentati.
La Galleria Umberto I di Napoli è stato un palcoscenico straordinario per il mercato della terra che ha visto numerosissimi visitatori curiosi ed entusiasti per l’iniziativa. Tutti i convegni ed i laboratori in programma sono stati presi d’assalto, nonostante ci fosse titubanza in partenza per il tema legumi temendo non sortisse grande curiosità ed attenzione. Personalmente, avendo una particolare passione per il mondo del vino, voglio soffermarmi sul laboratorio Legumi di spirito: abbinamenti mondiali svoltosi domenica 9 al ristorante pizzeria Umberto e curato da Valerio Borgianelli. In questa occasione si è voluta cogliere la diversità di cultura e di interpretazione del cibo e del vino come occasione per conoscerci meglio e per arricchire i reciproci saperi. I vini da anfora della Georgia, presìdio Slow Food, hanno aperto il laboratorio dopo una accurata introduzione di Andrea Pipino, redattore dell’Internazionale, sulla cultura antica di questa terra e del suo popolo, resa particolarmente affascinante, come spesso accade, dal lungo isolamento dal resto del mondo.
Ciò che attrae della vitivinicoltura in Georgia è l’uso, sia per la fermentazione che per l’evoluzione del vino, delle grandi anfore interrate, qui dette kvevri. In effetti qui si continua a vinificare con metodi e concetti piuttosto arcaici: è come se tra i filari e nelle cantine il tempo si fosse fermato disegnando paesaggi e scene quasi fiabesche. Sono molto diffusi infatti i sistemi di allevamento di antica memoria quali l’alberata o l’alberello basso o le anfore di terracotta per la vinificazione, che ricordano tanto i dolia di cultura greco romana. Oggi le piccole aziende a conduzione familiare sono in difficoltà per il repentino cambiamento succeduto alla caduta dell’Unione Sovietica che qui sosteneva grandi cooperative la cui produzione era destinata a coprire l’ampio consumo nel paese. I vini in degustazione provengono dalla zona Imereti ad est del paese e caratterizzata dalla produzione dei bianchi. In collegamento Skipe, Ramazi Nikoladze ha raccontato i suoi metodi di produzione e i due vini in degustazione: Tsolikuri Nakhshirgele 2011 e Tsitska Nakhshirgele 2011 dell’azienda Nikoladze.
Ramazi è uno dei pochissimi a vinificare in purezza i vitigni a bacca bianca Tsolikuri e Tsiska e ad effettuare lunghe macerazioni sulle bucce. Sono vini molto semplici, nel primo prevalgono i profumi terziari e ossidati, mentre il secondo mantiene una certa pulizia di aromi e sapori. Ai vini si abbina il tipico piatto di fagioli Lobio, con cumino, coriandolo e le tanto utilizzate noci. Per i vini del Libano non è emerso nulla di interessante, ma la cattiva abitudine di inseguire stili e vitigni internazionali in maniera piuttosto banale. Interessantissimo invece il sake Jumai – shu 2009 Daruma Masamune, presentato da Junko Terao, redattore della rivista Internazionale.
Questa azienda ha il merito di aver rilanciato l’antica tradizione del sake invecchiato e di puntare ad una produzione di altissima qualità. Tale scelta ha raccolto grandi consensi ed il sake in degustazione ha sorpreso e affascinato tutti i partecipanti. Io ne sono entusiasta. E’ prodotto di inverno perché il freddo giova alla qualità del sake, ottenuto dalla fermentazione di riso maltato e decorticato fino al 70% .Dal colore ai profumi e sapori il filo conduttore è rappresentato dal colore giallo e dall’eleganza. Veste un bellissimo giallo oro pieno ed esprime un corredo aromatico piuttosto ampio che va dalla mimosa allo zenzero, zafferano , genziana e radice di liquirizia. Il sorso conferma lo stile leggiadro dei profumi, ha una buona freschezza che insieme ai toni caldi dell’alcool e alle sottili note dolci creano un divertente gioco dinamico di sapori e sensazioni. Ma soprattutto sa raccontare l’eleganza contenuta e mai urlata che questo popolo sa manifestare in maniera discreta e affascinante. Segue lo shochu, distillato di grano saraceno, Unkai Nayuta No Toki, in genere prodotto da patate o da orzo.
La bottiglia ed il packaging sono particolarmente curati ed lo shochu, assolutamente nuovo per tutti noi, viene molto apprezzato. Dei dolcetti in abbinamento, yokan e daifuku, abbiamo gradito soprattutto la buona volontà di Valerio, Junko e Andrea.
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