Correva l’anno 2012, la Guida Michelin (finalmente) aveva appena assegnato le Tre Stelle all’Osteria Francescana, nella guida uscita a novembre del 2011 e presentata al Circolo della Stampa a Milano. Come tutti i fuoriclasse, che non stanno mai fermi, Massimo Bottura, invece di vedere l’occasione del terzo macarons come un punto d’arrivo, prende la palla al balzo e rilancia. Infatti in quell’anno mette a punto un concept menu, Vieni in Italia con me, poi successivamente divenuto anche un libro.
Un menu che ha condizionato il mio percorso da gourmet praticante, ma soprattutto ha condizionato la cucina italiana. Uscivamo dall’onda lunga della rivoluzione in cucina degli spagnoli, del tecnicismo a tutti i costi. Tutti i grandi cuochi strizzavano l’occhio a quella che in effetti era stata una rivoluzione epocale. Con Vieni in Italia con me, il cuoco modenese metteva al centro l’Italia, i suoi prodotti, le sue tradizioni culturali oltre che gastronomiche. In quel preciso momento non eravamo più sudditi, nè del classicismo francese, nè dell’avanguardia spagnola, eravamo italiani.
La rivoluzione della cucina italiana e di trovare un’identità ben precisa era cominciata anni prima, però non c’era stato ancora nessuno che avesse messo in fila dei pensieri in un menu che affermasse con forza l’identità della cucina del Bel Paese. Sicuramente “il pranzo della mia vita”, ricordo con dovizia di particolari tutti i piatti. Un messaggio molto forte che ha avuto un merito storico, quello di proiettare la cucina italiana d’autore nel mondo. Siamo con orgoglio quelli di spaghetti, pizza e mandolino, ma siamo anche altro, avanguardia, voglia di reinterpretare le nostre tradizioni, voglia di dettare le tendenze e nessuno lo ha fatto e comunicato meglio di Massimo Bottura.
Il menu Vieni in Italia con me 2022 di Massimo Bottura
Corre l’anno in corso, quel 2022 che mette a dura prova il mondo. Modena, 20 aprile, ora di pranzo. Il cous cous diventa una cialdina, il babà un contenitore salato e la panzanella un brodo di pomodoro intenso. Partiamo da Sud, dai gusti del sole, siamo del Regno dei Borboni, nei gusti di casa mia. La lettura è immediata in sapori e consistenze.
Dal sole caldo del Sud, ci spostiamo in un secondo a Milano. Panettone, lenticchie e cotechino (anche il 15 di agosto). Un omaggio all’idea del refettorio Ambrosiano, che poi ha portato alla nascita di Food for Soul e all’apertura di tanti refettori in giro per il mondo. Soffice, le lenticchie prendono il posto dei canditi, una nota di grasso avvolge la bocca. Cominciare il pasto con una torta salata, tradizione pasquale che unisce l’Italia, è simbolo di rinascita. Un simbolismo forte e un messagio chiaro ed efficace.
Da Milano ci spostiamo sul Delta del Po. L’insalata di mare, racchiusa in un guscio d’ostrica, diventa il pretesto per raccontare la bonifica del Palco del Delta del Po. Un gusto vegetale intenso, quasi violento. Delle vongole e delle cozze c’è solo il succo che viene usato per sbollentare fave e piselli. Un estratto di vedure all’ennesima potenza, un gusto di vegetale pulito e inebriante.
Ci spostiamo sulla Riviera Romagnola. Piadina, rucola, squacquerone e alici, prende una forma contemporanea con nota affumicata elegante che segna in maniera decisa il gusto.
Il risotto come una parmigiana di melanzane è il compromesso storico, anzi l’incontro a Teano tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi. La nebbia, la foschia del Nord e del riso incontra il caldo sole del Sud, del gusto goloso e godurioso della parmigiana di melanzane. Una sintesi. Ne avrei mangiato una betoniera.
Un viaggio nel Bel Paese: ravioli come contenitori di idee. Le paste ripiene, contenitori di gioia, contenitori di cultura, partono da Nord, con le nocciole e le Langhe, per poi spostarsi al centro con un ripieno di un formaggio fresco e per finire al Sud, dove il raviolo si rompe e la potenza delle olive nere informate resta il ricordo. Un intero viaggio in tre bocconi, in tre diverse visioni della stessa preparazione.
La Porchetta di Rombo è il fil rouge che lega Marche e Abruzzo. Entroterra e mare, rombo e maiale, forza e gentilezza, come avrebbe detto Primo Levi. Al gusto ricorda la versione elegante del meraviglioso rodaballo a la parrilla di Aitor Arregi di Elkano.
La fiorentina e i suoi condimenti (fiorentina fujuta). Un fondo di carne meraviglioso. Intenso, di una pulizia gustativa sconcertente. Non c’è un filo di grasso, solo la potenza gustativa, da solo vale il viaggio. Un fondo che è il piatto e che ricorda il gusto della fiorentina. La verdura accompagna, con carattere, ma un passo indietro. Una tradizione centenaria, quella di riproporre un gusto, quella della carne, quando la carne aveva un costo troppo elevato per la gran parte della popolazione. La genovese fujuta è forse la migliore spiegazione di questo concetto. Nel mondo moderno dove la carne è diventata un alimento alla portata di tutti, ma che dovremo consumarne sempre di meno, per ovvie ragioni, diventa una sensazione palatale, amplificata alla massima potenza. Che meraviglia.
Con Think Green si torna nella Bassa. Come riprodurre un paesaggio. Le mucche al pascolo mangiano solo le erbette e i fiori più teneri e dolci, per poi dare il latte per produrre il Re dei formaggi, il Parmigiano Reggiano. Una granita tutta vegetale, acida, corroborante, quello che ci voleva dopo la fiorentina fujuta.
Quasi uno spaghetto al pomodoro. Un trompe-l’oeil, perchè sembra uno spaghetto al pomodoro, ma ci sono le amarene, le mandorle, i capperi. Lo spaghetto freddo è un tapis roulant per veicolare un gusto. Di una potenza gustativa soprendente, ma anche un piatto seminale, cioè un piatto che nel futuro potrebbe portare anche ad altro.
Ops! Ho dimenticato la caprese. Ho cominciato il pasto con quello che di solito me lo fa concludere, il babà, ed invece lo termino con quello che di solito lo apre, una caprese. Il pomodoro è ricostruito, un piccolo omaggio al lavoro tecnico di Cédric Grolet, ma anche il modo per concludere a Sud da dove eravamo partiti. La chiusura del cerchio e di un viaggio tutto italiano, un viaggio denso e pregno di storia e cultura. Questo pomodoro diventa anche l’analogia con l’Osteria Francescana. cerco di spiegarmi meglio. Il pomodoro arrivato dalle americhe e considerato velenoso, una pianta ai soli fini ornamentali, negli ultimi 20 anni ha conquistato tutte le grandi cucina del mondo. Non c’è un grande cuoco contemporaneo che non abbia in menu un piatto a base di pomodoro. Proprio così l’Osteria Francescana e la cucina di Massimo Bottura, che all’inizio del suo percorso veniva vista come strana, difficile, troppo concettuale, ha conquistato il mondo e continua a dettare le tendenze.
Gli abbinamenti di Beppe Palmieri
Dalle foto manca il limoncello che accompagnava la caprese. Si, il limoncello. E’ impressionante come il duo Bottura/Palmieri, viaggi all’unisono. Sarebbe davvero semplice per un ristorante con questo blasone servire “cose comode”, vini e bevande che di consuetudine si bevono. Invece Beppe Palmieri, continua nel percorso che lo ha portato ad aprire un filone del beverage in Italia. Tanta ricerca e passione, con delle chicche assolute come il Prunet delle Valli Ossolane o l’Etna Rosso di Federico Graziani, da berne a secchiate.
Conclusioni
Ci sarà un giorno che l’Osteria Francescana non sarà più quella fucina di idee e di energia che ha rivoluzionato e comunicato meglio di chiunque altro la cucina italiana nel mondo. Verrà quel giorno, ma non è certo oggi, non è certo per questo menu.
Osteria Francescana Modena
Via Stella, 22
sempre aperto a pranzo e cena
Tel. 059.223912
www.osteriafrancescana.it
Osteria Francescana Modena
Via Stella, 22
sempre aperto a pranzo e cena
Tel. 059.223912
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