Improvvisazione, millantato credito e tanta ignoranza: verità scomode sul giornalismo gastronomico al capolinea tra una pacca sulla spalla e un pranzo gratis per fare fumo negli occhi ai clienti

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

di Marco Contursi

Questo è un pezzo “cattivo” poiché dice una verità scomoda, che tenevo da tempo nel cassetto e che ora tiro fuori per due avvenimenti che mi hanno spinto a questa decisione:

Questi due avvenimenti, mi ha dato lo sprint per aprire un pezzo che ho nel cassetto da molto e che farà storcere più di un naso, ma adesso è veramente ora di dire basta a una deriva palese della comunicazione gastronomica.

Lo dico subito: il 70% di chi scrive di cibo, sia come recensore che come addetto stampa, non capisce una cippa. Non ha le conoscenze né le competenze per farlo né cerca di averle e crede di ovviare con campagne di immagine massive o altri modi che però non celano l’incompetenza.

E parlerò per chiari esempi, omettendo solo i nomi per carità di patria.

Qui non farà la differenza se chi scrive sia un blogger o un giornalista, visto che ormai un patentino non si nega a nessuno.

E ora facciamo gli opportuni distinguo:

1) Giornalisti che parlano di cibo, soprattutto di diete e di proprietà degli alimenti, su settimanali e mensili: dovrebbero essere i cosiddetti giornalisti scientifici ossia specializzati nella divulgazione scientifica. Molto spesso purtroppo scrivono sciocchezze. Un esempio, su uno dei  più diffusi settimanali italiani, da 1 milione di copie, leggendo la rubrica di cucina e alimentazione, più volte ho trovato errori grossolani, tipo che l’anguria è un frutto ricchissimo di zuccheri (ne ha meno di una mela), o che le uova vanno lavate con il sapone, mentre il Reg-CE-589-2008 dispone l’esatto contrario. All’inizio ho scritto un paio di volte al Direttore, facendo notare gli errori, poi mi sono rotto e salto la lettura della rubrica, pur continuando a comprare il settimanale. Resta il fatto che 1 milione di persone legge notizie errate sul cibo. E anche sui quotidiani, spesso non viene fatta una selezione attenta e deontologicamente ineccepibile delle persone che scrivono di cibo.

2)Redattori di guide ai ristoranti e simili
Qui, almeno per il passato, non c’era una competenza specifica, soprattutto per quel che riguarda le materie prime. Spesso si trattava o tratta di professionisti di altri settori (notai, avvocati, medici) appassionati di cibo e con la possibilità economica di girare tanti ristoranti, che da semplici avventori si  trasformavano in recensori. Non è un mistero che un notaio era al vertice della guida del Gambero, come pure alcuni ispettori di altre guide che conosco, nella vita fanno altro, né mi risulta che abbiano mai fatto un corso di degustazione di olio, salumi o formaggio in vita loro. La loro è stata una esperienza sul campo, utile sicuramente ma non esaustiva per diventare esperti a 360 gradi.

Questo perché quando c’è stato il boom delle guide, mancava una formazione univoca e chiara e quindi ognuno ha fatto un po’ come voleva. C’è chi prima di scrivere o in corso d’opera si è formato a proprie spese e chi invece si è ritenuto capace di giudicare per scienza infusa.

Sia chiaro, anche se a molti non piace sentirselo dire: se non hai mai studiato le materie prime, sarai sempre mancante di qualcosa nel giudicare un piatto.

Poiché anche il cuoco migliore, se ha usato ad esempio un olio rancido, farà uscire un  piatto difettato, solo che chi lo giudica non è in grado di accorgersene (capitato in due locali, di cui uno stellato).

La materia utilizzata viene prima delle tecniche di cucina, e questo purtroppo a molti risulta ancora difficile da comprendere.

Io posso fare un impasto di pizza ottimo ma se sopra ci metto un prosciutto crudo estero che puzza o un olio difettato, quella pizza è uno schifo. E i prosciutti cotti e crudi che usa almeno il 70% di pizzerie e rosticcerie, sono di bassa qualità. Ma chi giudica, sa riconoscere un prosciutto cotto ricomposto? Un olio rancido o uno spagnolo da picual (80% di quelli nei supermercati), un corbarino da un datterino?…..NO!!!NO!!!NO!!!.

L’ho detto e lo ripeto: chi scrive di arte, di salute, di scienza, si documenta e studia, perché chi scrive di cucina dovrebbe poterlo fare così, dall’oggi al domani, senza un minimo di studio? Forse perché tutti dicono che sanno mangiare? Siamo un popolo di esperti di calcio e di cibo perché nati in Italia? Non scherziamo.

3) Guide di settori determinati (vino, salumi, birre…).
La situazione, almeno per birre e vini è migliore, perché solitamente, chi ne scrive ha fatto corsi di degustazione e quindi usa un linguaggio tecnico e segue delle regole universali di degustazione. Meno bene il discorso per i salumi, se mi tocca leggere che la persona che a capo di una delle guide più “autorevoli di settore” parla di lunga stagionatura in cantina per un prosciutto cotto. Una affermazione che non merita commenti. Eppure la persona in questione è ritenuta una autorità del settore, almeno per il gruppo nazionale per cui scrive…..

4) Blogger, uffici stampa, agenzie di comunicazione e affini: Qui la cosa si fa ridicola e a me girano le scatole davvero. Tutti scrivono di tutto e vale la regola dello “scribo ergo sum”. E se un occhio esperto, nota sciocchezze allucinanti, per il lettore medio, sono invece tante verità, per il solo fatto che vengono scritte magari pure su blog a cui collaborano pure penne autorevoli.

E’ tutto un immenso calderone, e a tutti questi personaggi non passa neanche per l’anticamera del cervello di studiare un po’.

Un esempio? A Napoli parte a breve un corso di assaggio dei salumi organizzato da me come referente Onas e con docenti di tutta italia, ad un costo contenuto di 150 euro. Ho mandato la notizia ad oltre 50 tra titolari di gastronomie rinomate, di wine bar che puntano sui taglieri di salumi e formaggi, a blogger e giornalisti che scrivono di cibo, spesso in modo errato proprio sui salumi. Sapete quanti si sono iscritti? ZERO!!!! I 37 partecipanti sono perlopiù semplici appassionati, o ragazzi volenterosi come i due commessi del reparto gastronomia di un supermercato che, a proprie spese, fanno quello che dovrebbe far fare loro l’azienda, ossia formazione.

Cioè, per capirci: 2 commessi fanno il corso e tutti questi blogger e esperti titolari di gastronomie no? Il dato si commenta da solo. Se però poi, uno sotto i loro articoli fa notare le cazzate scritte o quando siede nei loro locali le mediocrità passate per eccellenze, poi si offendono.

Questo perchè vige la regola che l’apparenza conti più della sostanza, perché come dice Edmund Burke “L’umanità è una mandria di esseri che devono essere governati con la frode, l’inganno, e con lo spettacolo”.

Come spiegarsi sennò  il caso del produttore di salumi che decide di affidarsi ad una agenzia di comunicazione per pubblicizzare la differenza dei propri prodotti da quelli degli altri, senza far prima provare questi prodotti a chi degusta salumi in modo professionale? E soprattutto senza controllare l’etichetta dei propri salumi che non è a norma di legge. Ma all’agenzia di comunicazione questo non interessa, come non interessa farsi una formazione specifica prima di pubblicizzare un prodotto, quindi o o salumi o formaggi o panini o bistecche o pizze, tutto si pubblicizza in modo uguale, con video commoventi  e slogan accattivanti, e chissenefrega se poi quei salumi recano una dicitura in etichetta che è ritenuta errata per la legge italiana. Conta cioè raccontare una favola, ad adulti che, ancora credono alla favola del contadino che accarezza il maiale ogni mattina o dei polli allevati a manna celeste e rugiada, quando la realtà di una attività commerciale che lavora, è fatta di numeri che non si soddisfano con le chiacchiere. “Le chiacchiere fanno e chierchie”, dicevano gli anziani.

Ma posso io sentire un tizio che parlando in un locale di uno jamon iberico de bellota (prosciutto patanegra per capirci), racconta la storiella che i maiali sono massaggiati uno ad uno “come fanno coi manzi di Kobe” e che vengono allevati a 2000 metri d’altitudine?

La cosa assurda è che c’era un pubblico che lo ascoltava estasiato, perché né a quel grandissimo “esperto”, nè al titolare del locale che l’ha chiamato, nè alla utenza del locale interessa capirne davvero di quel prosciutto, ma solo ascoltare una favola. Ma a sto punto compratevi un bel libro di Esopo, almeno in quelle favole c’era un insegnamento.

O ancora il pizzaiolo che di prodotti ne capisce come io di matematica   e prima mi chiede consigli e li ha, gratis, poi non li segue e mette in carta cannonau a prezzi folli, apre quindi, con un rappresentante che gli ha venduto l’impossibile, e infine si rivolge prima a un consulente a cui racconta di soldi chiesti, non si sa da chi, per farlo uscire su dei blog, poi a una agenzia di comunicazione famosa nel settore, e di certo non economica, per pubblicizzare cosa? Un  menù che, se è quello dell’ultima volta, era una accozzaglia di presidi, prodotti dop, con prodotti di cash, e olio sufficiente, messi a caso? Ma l’importante è fare 10mila like, non migliorare la propria offerta e poi pubblicizzarla.

Dico io: vuoi fare il blogger di cibo? Vuoi fare l’addetto stampa di una realtà del food? Vuoi curare l’immagine e la comunicazione di un artigiano del gusto? Diamine, studia quello di cui ti occupi, sennò spari solo schiocchezze.

Dico io: sei un appassionato di cibo e ti piace girare per locali e spendere così i tuoi soldi e il tuo tempo libero? Perfetto, studia così non ti fai fregare dal primo imbonitore che ti vende un jamon de cebo per un de bellota e ti frega i soldi o ti mostra il video-fiaba dei maiali che vivono bradi in un prato inglese più ordinato di quelli di Buckingham palace, quando un suino all’aperto fa più danni di un escavatore.

La comunicazione, oggi più che mai, richiede competenza della materia che si va a trattare e non una sterile applicazione di modelli validi urbi et orbi, almeno per fare la differenza e non usare l’utenza come un branco di pecore che si muove al fischio del pastore.

Ma al peggio non c’è mai fine e sono sicuro ne vedremo ancora delle belle.

p.s. ogni riferimento a persone o cose NON è puramente casuale. Molti si complimentano con me in privato quando dico o scrivo queste cose, se più persone del settore si esponessero, forse qual cosina cambierebbe, ad iniziare da quei ristoratori o produttori che criticano in privato chi scrive di loro, accusandoli di scarsa competenza, ma sono pronti ad applaudire se gli stessi ne scrivono bene, perché una lode, anche se da un incompetente fa sempre piacere riceverla. Ma a ben pensarci, è come se un cieco ti dice che sei bello…..cui prodest?


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