Imago Hotel Hassler Roma Andrea Antonini
Piazza della Trinità dei Monti
Aperto solo la sera
Tel. 06 6993 4726
di Raffaele Mosca
L’impostazione da grande ristorante di respiro internazionale di uno dei punti fermi del fine dining a Roma si consolida grazie all’energia creativa e alla sapienza tecnica di Andrea Antonini,chef poco più che trentenne che ha preso il testimone da Francesco Apreda. Su questa terrazza con vista d’ineffabile bellezza, Antonini propone una cucina di compromesso: neoclassica perché non lesina in salse, spume, grassi animali golosi e in molti casi preziosi; non si omologa, insomma, a quella smania di leggerezza e minimalismo che contraddistingue altre stelle che cercano la rottura con la ristorazione borghese e occhieggiano alla rivoluzione della bistronomie. Ma anche aggiornata, cosmopolita, mai stucchevole: le esperienze pregresse alla corte albese di Crippa e dai fratelli Roca implicano attenzione al dettaglio maniacale, perfezionismo che non sfocia nell’esibizione gratuita di tecnica, e l’utilizzo di amaro, acido e vegetale come contrappunti che calibrano e rinfrescano i piatti senza mai rubare la scena al resto.
Il percorso “nove”, che, a discapito del nome, consiste di sette portate ( a 210 euro), è pensato per mettere d’accordo la clientela poliedrica che sale su questa giostra sulla vetta dell’Urbe: dal turista attratto principalmente dalla location all’intenditore autoctono.
L’esperienza ha un incipit “crippiano” in tutto e per tutto: l’aperitivo – non torinese come a Piazza Duomo, ma italiano – passa per cracker alle mandorle, patatine al sapore di pollo alla diavola, finta pizza , waffer ripieno di gambero crudo, un’insalata che racchiude in pochi bocconi tutto il bagaglio di conoscenze del mondo vegetale che Antonini deve aver sviluppato nel corso del soggiorno albese, e si conclude con un romanissimo duetto di pane e mortazza e coppiette.
Simile l’impostazione dell’ antipasto di mare: di fatto un viaggio dall’Oriente all’Occidente, con il “finto sushi” – in realtà aria di tonno – che inaugura le danze con uno scossone umami, l’ esplosione mediterranea del mosciolo di Portonovo mollicato e panato, le tonalità più nordiche di un’ostrica fins de Claire spolverata di bernese, e di nuovo l’umami del riccio di mare che sposa la mentuccia in un connubio da lacrimuccia.
Ineccepibile lo scampo panato e speziato con jus di manzo, omaggio a un piatto “démodé” come il filetto al pepe verde: riesce bene nell’intento di non camuffare la materia prima, anzi la spezia amplifica il sapore marino. Sulla stessa traccia il calamaro alla milanese: il riso è sostituito da briciole di calamaro cotte in brodo allo zafferano; al posto del midollo, teste compattate che ingrassano e arricchiscono di sapore.
Riusciti al 75% i ravioli ripieni di granchio, pancetta, limone e mandorle: un pelino di agrume in meno avrebbe lasciato più spazio al granchio. L’astice alla catalana – chiesto in sostituzione della portata di carne – è esattamente agli antipodi: fa emergere la materia prima in tutta la sua canonica burrosità, alleggerendola con un tocco acido e vegetale.
Chiusura in pompa magna con una parte dolce sostanzioso, tra pre-dessert, rivisitazione in chiave fresca e floreale di un classico “demodè” come fragole e panna (più rose), una fetta burrosa di ciambellone della nonna e un maritozzo conclusivo per non farsi mancar nulla.
Chiaramente la macchina da corsa non va da nessuna senza le giuste componenti: l’esperienza da Imago è foraggiata una delle migliori brigate di sala del belpaese: efficientissima e sorridente, molto attenta ma mai invadente. Bravissimi il maitre Marco Amato e il e sommelier Alessio Bricoli, quest’ultimo custode di una carta monumentale, che spazia da Petrus, Romanee Conti e Monfortino a chicche regionali e non ad un prezzo onesto per il contesto. Ma si beve molto bene anche al calice: io mi sono lasciato coinvolgere in un gioco delle carte – e qui torna in mente l’esperienza con i bigliettini di Local a Venezia – in cui il cliente può scegliere tra due proposte d’abbinamento diverse per alcuni piatti (per esempio un Riesling tedesco o italiano per gli scampi, una muffa nobile o un ice wine per il dessert).
Conclusioni
Il paragone più azzeccato è quello con certi vini “classici” – e in quanto tali immortali – che basano il loro successo su equilibrio, universalità e longevità che sulla capacità
d’impressionare. Così è la cucina di Imago: non la più modaiola o elettrizzante della capitale , ma forte di una solida impostazione da grande ristorante d’hotel di lusso. L’esperienza è di rara completezza: ambiente, servizio, panorama. Il riferimento alla rossa può sembrare scontato, ma, ad occhio e croce, le condizioni per centrare l’obiettivo del doppio macaron ci sono tutti.
Scheda del 31 ottobre 2022
Prima di ogni cosa fa decisamente impressione tornare all’Hassler e non vedere Roberto Wirth che si aggira fra i tavoli. Uno dei più gandi albergatori di sempre se ne è andato improvvisamente a giugno dopo aver salutato i ragazzi di sala la sera prima. Ma la sua opera, la sua grandiosa costruzione, resta qui e tutti hanno moltiplicato il loro impegno per onorarne la memoria. Ora c’è il figlio Roberto Junior, che regola saldamente la barra del timone grazie al lungo tirocinio ftto con il padre dopo essere stato a lungo all’estero.
Ritroviamo allora per la terza volta la cucina di Andrea Antonini, per una cucina sempre più convinta e con le idee chiare. Tanta tecnica appresa in giro per l’Italia e per il mondo
In sintesi, possiamo dire che abbiamo tecnica di estrazione del sapore, voglia di divertimento, grandissima e ossessiva ricerca di materia prima dl territorio ma anche voglia di fare dell’Imago un luogo dove non si celebra solo la sua cucina, un un ristorante comfort a cominciare dal carello dei formaggi e dei dolci. Il pensiero va subito a grandi ristoranti francesi con il George V ma con l’anima italiana e soprattutto romano, a cominciare dal gioco iniziale, salumi e formaggi presentati in stile giapponese (o Crippa che dir si voglia).
La cucina di Ivano Antonini
Il gioco iniziale prosegue con il vrodo, la finta pizza, il radicchio. Picoli bocconi che non riempomo ma fanno capire subito dove siamo. A cominciare dal clamoroso pane e porchetta.
Dopo inizia un vero crescendo, dove il gioco non è mai abbandonato. Fantastico il piatto delle puntarelle con le alici che da solo vale il viaggio come si scriveva un tempo.
Il carciofo con le animelle è un grande classico eseguito con perfezione assoluta.
Sempre il gioco, quel che sembra un risotto in realtà è un calamaro idotto in piccolissimi pezzi. Qui c’è grand capacità di estrarre il mare e di mantenere la freschezza del piatto che non stanca.
Ottimi i primi, di scuola la pasta fresca, di gola piena il tagliolino con il tartufo e arriviano al piatto dellaserata, una faraona alla diavola buonissima.
CONLUSIONI
Un grande ristorante di cui c’è sempre bisogno in una grande città come Roma. Servizio magico, familiare e professionale con l’abile regia di Marco Amato. Una carta dei vini da sogno, non ideologica ma neanche scontata, gestita da Alessio Bricoli e una cucina sempre più matura ed esperienziale di Andrea Antonini. Il costo di una menu degustazione, per tutto il tavolo è di 200 euro, alla carta si oscilla fra i 170 e i 200 euro a seconda che si tratti di tre o quattro portate a scelta.
Ridotto il numero dei tavoli, resa più luminosa la sala in attesa di una cambo moquette con il parquet per la prossima stagione, l’Imago è destinato a diventare una piccola grande e competitiva bomboniera gastronomica e la scelta di Roberto Wirth di puntare su un giovane si è rivlata sinora arguta e lungimirante. La tradizione romana soprattutto qui esplode e rivela nuove possibilità di abbinamento e di crescita gustativa grazie alle tecniche che fondo Gappone, Spagna, ricordi della nnna, sempre all’insegna di una manualità pignola e maniacale. Ma la vera differenza la fa la ricerca della materia prima da produttori locali, che è poi la base per essere davvero un grande cuoco e non uno chef di batteria che usa il catalogo.
Veire qua da soddisfazione sia al gourmet che al cliente comune, l’esperienza è poliedrica, varia, complessa e si esce con la voglia di tornare.
Speriamo solo che una seconda stella sia il sugello ad uno sfrozo così importante portato avanti nel momento più difficile dal Dopoguerra ad oggi.
26 dicembre 2021
Quasi due anni fa abbiamo provato la cucina di Andrea Antonini all’Hassler e ci ha subito colpito per la vivacità, la competenza tecnica, l’idea di una sostanziale freschezza in grado di sostenere il boccone senza rinunciare a momenti di comfort food giocati sulla memoria o sulla rotondità. Quando è entrato in questo magnifico albergo a Trinità dei Monti non poteva immaginare che avrebbe combattuto una guerra, una guerra lunga come tutte le guerre che restano bravi solo nelle parole dei politici che le vogliono e dei generali che le preparano.
Come sempre succedi, in questi momenti delicati sopravvive chi è bravo, ma anche un poco fortunato. In questo periodo in cui gli alberghi hanno pagato il prezzo più caro, Andrea Antonini ha stretto i denti e nell’estate scorsa è sceso in campo con una brigata decimata come tutte quelle dell’alta ristorazione. Ha affrontato così una stagione memorabile restando concentrato sul piatto e senza mollare mai, nemmeno un minuto.
Ci torniamo appena prima della chiusura programmata a gennaio, facendo i conti con una realtà tornata difficile a causa degli untori no vax la cui ottusa stupidità medioevale antiscientifica ha impedito il raggiungimento dell’immunità di gregge prolungando così la guerra.
Abbiamo trovato una cucina più ricca e matura, soprattutto aggiornata sui temi e capace di stupire vista e palato attraverso costruzioni elaborate, una semplicità che si raggiunge al termine di mille complicazioni che non traspaiono nel piatto. L’aspetto più moderno di questa cucina risiede nella capacità di valorizzare al massimo il vegetale che gioca un ruolo da protagonista e nella ricerca di prodotti autentici, puliti e biologici. In questo senso Andrea è nella nouvelle vague romana attenta all’ambiente e alla salubrità di quello che si mangia, un movimento che, a nostro modesto giudizio, è stato appena sfiorato dalla Michelin che il prossimo anno farebbe bene a concentrarsi nel Lazio come ha fatto in Campania nel 2021 e nel 2020 in Lombardia e Nord Est. Onore e gloria a chi ha aperto la strada, ma adesso c’è una nuova generazioni di cuochi che bussa alla porta e a cui è necessario dare soddisfazione, quella che il loro lavoro gli fa meritare come valore assoluto. Siamo convinti che la Capitale è all’inizio di una nuova primavera gastronomica senza precedenti perché alla base c’è tanta consapevolezza sul rapporto del cuoco con la materia e sul ruolo di questi lavoro ne sapere e potere indirizzare i consumi.
Eccoci dunque con l’insalata portata ancora viva e poi tagliata e il lievito madre. L’aperitivo deve divertire, dare qualche segnale sulla memoria (la rosetta della mortadella, la polpetta di amatriciana), anticipare qualche tema (freschezza, vegetale). Con l’influenza spagnola e giapponese questa portata ha assunto una importanza sempre più grande e per Andrea Antonini assume il significato di un vero e proprio piatto di portata, da non sottovalutare.
Nei piatti di mare lo chef si esprime al massimo livello, salvando la sensazione di freschezza che ogni portata marinara deve avere a nostro insindacabile giudizio :-) Il mare vuol dire leggerezza, sapori ancestrali, impegna la mente molto più della carne, implica una maturità palatale e una esperienza proprio perché è cibo che non rientra nel nostro quotidiano naturale. Bisogna capirlo per apprezzarlo ed è quello che riesce a fare perfettamente in questo menu lo chef componendo tanti piatti che fanno un piatto continuando così il giocodell’aperitivo ma alzando ovviamente l’asticella. Centrato l’equilibrio delle tagliatelle di seppia cacio e pepe dove il formaggio esalta il mare senza coprirlo come da rischio annunciato ed evitato.
A seguire piatti di grandissimo spessore che da soli valgono la visita. La partita fra i carciofi e le animelle finisce pari visto che ciascun elemento fa da spalla all’altro. mentre il raviolo di scambi e cime di rapa è uno dei piatti migliori che abbiamo mangiato quest’anno, una concentrazione di sapore semplicemente pazzesca ed efficace. Il pollo alla cacciatora è un mondo a sé mentre il riso, pur avendo come elemente caratterizzante una punta di freschezza, rientra in quel momento di comfort food che scondo noi tutti i menu devono avere per essere veramente sopportabili.
Il menu dell’Imago Hotel Hassler
CONCLUSIONI
La cucina dell’Imago è in questo momento una delle più interessanti d’Italia, completa, con continui rimandi di memoria (c’è anche la pizzaiola che richiama la parte napoletana dello chef) ben citati e mai scontati. Il servizio è sempre di altissimo livello, con sommelier appassionati a cui bisogna dare briglia sciolta se vi volete davvero divertire anche con il bicchiere oltre che con il piatto. Il menu degustazione costa 170 euro (sei portate) mentre alla carta è sui 140, Il panorama dell’ultimo piano è poi impagabile e noto. Non bisogna essere critici esperti per prevedere un grande successo nei prossimi anni, bisogna avere solo un po’ di pazienza e capire che le difficoltà ci sono per tutti, per chi cucina, per chi mangia e per chi fa la critica. Dunque non c’è altro modo che stare concentrati su ogni cliente come se non ce ne fosse un altro domani e questa struttura con questa cucina, giocando di resilienza e di ricerca oltre che di aggiornamento, non ha limiti che non possa essere superati
20 febbraio 2020
Ed eccoci di nuovo in uno dei ristoranti con vista tra le più spettacolari del mondo voluto nel 1998 dal proprietario Roberto Wirth. Al timone c’è Andrea Antonini, under 30, romano de romasud, con tanta gavetta alle spalle: Roy Caceres, poi di Quique Dacosta e dei fratelli Roca a Girone e da Crippa ad Alba dove è arrivata la telefonata da Roma.
Una scommessa difficile che doveva avere tre risultati: far dimenticare Francesco Apreda, bravissimo dominus di questo albergo praticamente da sempre, confermare almeno la stella Michelin e poi convincere il pubblico con la sua cucina, decisamente centrata sulla materia.
Andrea ha dunque voluto concentrarsi sul lavoro più che fare proclami vivendo con umiltà un incrico decisamente importante per una realtà come Roma e dopo l’insediamento si è chiuso in cucina per sgobbare sui piatti.
La cucina d’albergo non è certo facile se ha ambizioni di critica perchè deve essere ecumenica e accontentare i clienti senza per questo scadere nella banalità e nel già visto e sentito. I presupposti su cui si è mosso il giovane cuoco sono stati l’applicazione della tecnica appresa durante gli anni della gavetta e la ricerca del prodotto vero, in grado cioè di riflettere il territorio senza mediazioni terze, parlando direttmente con i produttori. Terzo e ultimo mantra, la stagionalità assoluta.
Sala e servizio non si discutono minimamente per la qualità e la competenza. Buona la carta dei vini ma da approfondire ed allargare ulteriormente.
Veniamo ora ai piatti.
Quelli che ci hanno davvero colpiti sono stati tre.
Non è la prima volta che la triglia sposa il foie gras, ma a noi questa interpretazione ci è piaciuta davvero molto anche grazie all’inserimento dell’acidità del melograno. La carne di questo pesce che un tempo si buttava si presta sempre bene alle preparazioni dell’alta cucina.
Il piccione è di scuola spagnola, con tanto di zampetta ben esibita. Grande cottura, cioccolato e tabacco hanno avuto la funzione di esaltare il sapore della carne e non l’hanno coperta. Davvero un piatto di scuola.
Infine la guancia di tonno alla cacciatora è un piatto forte, di mare intenso, di quello che ti entra nel naso quando stai sugli scogli. Buonissimo.
Squilibrato invece a favore della pasta l’uso del fusillone di Gragnano, troppa materia amida mette in secondo piano il mare che, assaggiato da solo, è straordinario. Molto meglio un tubetto, o anche uno spaghetto spezzato. Oppure, al contrario, si deve “ingrassare il mare” con un riccio, o forzarlo con maggiore quantità o estremzzarlo ancora con le interiora dei pesci.
Molto buoni infine gli altri piatti. Il riso è fresco e saporito, la grassezza dei ricci è equilibrata dall’agrume.
Divertente e rilassato invece il finto tagliolino di funghi, buona anche la carne cruda con cui si parte.
“Crippiano” l’aperitivo, pieno di sfizi ricchi di materia e con l’elemento vegetale, un po’ assente nel menu, qui invce deciso protagonista.
Buona e forte l’insalata di cetrioli di mare, molto usata in Spagna, in Italia quasi inedita. anche qui, come nel caso del tonno alla cacciatora, il mare è nella più pura delle espressioni possibili.
Da manuale il settore dolci, poco zuccherini, leggeri e saporiti.
CONCLUSIONI
La cucina di Andrea Antonini all’Imago dell’Hassler è decisamente interessante, a nostro giudizio già matura sul piano espressivo nonostante la giovane età dello chef. Il cliente se si affida al percorso (sei o otto piatti) certamente imbocca una esperienza non scontata, sapori veri, concreti, difficilmente replicabili. Concluso questo primo step in cui i tre obiettivi sono stati raggiunti ora non resta che crescere ancora, e siamo certi che di questo passo le soddisfazioni non mancheranno. Nè alla cucina e neanche alla proprietà che ha dimostrato moto coraggio nel voler puntare su un giovane, cosa che, per quel che può contare, io consiglio sempre a tutti coloro che hanno ambizioni non circoscritte all’aspetto commerciale.
Imago Hotel Hassler Roma Andrea Antonini
Piazza della Trinità dei Monti
Aperto solo la sera
Tel. 06 6993 4726
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